1. La visita pastorale.
La visita pastorale è l’occasione per dirvi: voi mi siete cari. Voi mi state a cuore. Normalmente il vescovo esprime la sua sollecitudine per le comunità inviando i preti e coloro che ricevono dal vescovo il mandato di prendersi cura della Chiesa nel territorio. La constatazione di un troppo rapido succedersi di parroci (4 parroci negli ultimi cinque anni: cfr relazione Consiglio Pastorale) insieme con le vicende della pandemia hanno complicato la vita pastorale. Tuttavia la presenza di preti, di operatori pastorali continuano a testimoniare la sollecitudine della Chiesa diocesana per questa comunità. La visita pastorale è l’occasione per dirlo di persona.
La visita pastorale è l’occasione per mettere in evidenza la dimensione diocesana della Chiesa. La Chiesa non è la singola parrocchia, ma la comunità diocesana presente nel territorio, unita nella comunione con il Vescovo, impegnata a condividere le risorse e la passione per il Vangelo in una particolare città. Il vescovo viene a invitare a coltivare la dimensione diocesana, a partecipare alle iniziative, a raccogliere le proposte, a stringere legami di collaborazione con le altre parrocchie del territorio. Il riferimento alle proposte diocesane (cfr: per l’oratorio: le tematiche proposte si riferiscono agli spunti della FOM, elaborati con gli educatori nel tentativo di modulare le proposte alle esigenze dei ragazzi, l’accoglienza che richiedono, il necessario servizio educativo possibile secondo capacità e risorse, Relazione Consiglio Pastorale, p.1)
La visita pastorale è per condividere l’ascolto della Parola che è stata annunciata in questa celebrazione eucaristica per domandarci: che cosa dice il Signore a questa comunità, in questo momento del cammino della parrocchia, in questa città, in questo tempo di Chiesa?
2. Come dunque avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate.
2.1 La vicenda umana è una festa fallita?
Ecco, abbiamo preparato tutto, ci siamo impegnati al massimo: eppure constatiamo che su tutto incombe il fallimento. A Cana di Galilea si annuncia il fallimento della festa di nozze.
Nelle valutazioni che spesso si raccolgono su come vanno le cose nelle comunità cristiane di questo nostro tempo torna l’impressione del fallimento, dell’inefficacia, dell’inadeguatezza (il coinvolgimento dei pre-adolescenti riscontra parecchie difficoltà … quello della pastorale giovanile è un tema che ci fa sentire inadeguati e bisognosi di aiuto, cfr Relazione, p. 2).
Il fallimento è una esperienza diffusa nelle comunità e nella vita delle persone.
Ma non basta dire: non siamo capaci, non siamo all’altezza, non siamo riusciti a realizzare quello che abbiamo sognato. Noi siamo chiamati a interpretare il fallimento: che cosa vuol dire? che cosa dobbiamo fare adesso?
Forse lo scoraggiamento del popolo che si sente condannato a morte, forse il vedere tutto buio per il velo che copre la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni?
Forse l’interpretazione proposta dai vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo (Col 2,8), cioè l’invito alla rassegnazione o l’invito alla ribellione per presumere di farsi padroni con le proprie forze della propria vita e del proprio destino?
Maria, di fronte al fallimento, indica la via da percorrere: Qualsiasi cosa Gesù vi dica, fatela (Gv 2,5).
2.2 Camminate in Gesù, radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie (Col 2,6).
L’obbedienza a Gesù, il fare qualsiasi cosa Gesù dica, il camminare in lui, radicati e costruiti su di lui come si può descrivere? quale messaggio rivolge a questa comunità? In che modo la nostra acqua insipida può diventare il vino buono?
Il fondamento è nel restare saldi nella fede: dunque abbiate fiducia! Fiducia nel Signore che opera. Fiducia nella parola che ispira. Fiducia nel conservare quello che ci è stato insegnato. Fiducia nella storia del piccolo seme che produce molto frutto. Fiducia nello Spirito di Dio che opera nel cuore delle persone senza che noi possiamo misurare il frutto. Fiducia in ciò che lo Spirito compie in me e anche in te, in ciascuno di noi. Ci guardiamo intorno, noi che siamo qui riuniti nella liturgia domenicale e ci confermiamo nella fede: Dio sta operando in me, sta operando in noi. Abbiamo buone ragioni per avere fiducia. Fiducia nella pazienza. Fiducia nella coerenza.
Sovrabbondate nel rendimento di grazie. La sovrabbondanza del vino nuovo che Gesù offre dà compimento alla festa. Dunque la gioia. Dunque la gratitudine. Perciò la comunità cristiana si fa carico della gioia del mondo, percorre la terra seminando sorrisi. Basta con il cristianesimo triste che si ripiega a piangere i suoi fallimenti. Piuttosto testimoni della fedeltà di Dio alle sue promesse e della speranza che lo Spirito tiene vivo in noi.
Maria si accorge che manca il vino. Lo sguardo di Maria per riconoscere la desolazione del mondo e farsene carico. Non viviamo per noi stessi, non siamo presenti in questo territorio solo per custodire la nostra tradizione e il patrimonio immenso della vita cristiana. Abbiamo responsabilità per tutti, per la speranza e la gioia di tutti.