Al numero sei della sua lettera pastorale, l’Arcivescovo cita alcuni testi della Scrittura da cui si ricavano aspetti diversi e importanti dell’esperienza di fede. Vorremmo, uno dopo l’altro, provare ad accostarli per coglierne la ricchezza.
Il primo passo ricordato si trova nella Lettera ai Romani e costituisce, potremmo dire, il portale di ingresso di questo testo straordinario. La frase che San Paolo pone come tesi fondamentale suona così: «Il giusto per fede vivrà» (Rm 1,17). Che significa: «Grazie alla fede il giusto farà l’esperienza della vita». Si tratta di una verità grandiosa: la fede fa vivere!
Forse è utile qui distinguere tra esistenza e vita, ricordando che esse non necessariamente coincidono. L’esistenza è il venire al mondo; la vita è lo starci con gioia e soddisfazione. «Questa non è vita!», a volte si sente dire. La filosofia detta appunto “esistenzialista” ci ha ricordato che il senso della vita non va da sé e che a volte il dramma dell’esistenza sembra contestarlo. La fede spinge invece nella direzione opposta: essa fa vivere, perché pone a contatto con la potenza di bene che viene da Dio.
Nel suo Vangelo Giovanni ci aiuta a capirlo meglio, qualificando la vita attraverso un aggettivo e ponendogli a fianco un altro sostantivo. Dice infatti che chi crede ha la vita «eterna», vita cioè autentica e piena, e che la vita è «la luce del mondo». La vita, dunque, è un’esistenza luminosa perché illuminata. Sperimentarlo è un dono, che si riceve fidandosi dell’opera della Grazia. Questo significa appunto credere.
da Avvenire, 10/11/12