Domenica 24 gennaio il cardinale Angelo Scola è a Cavaria con Premezzo (Va), in visita alla Comunità pastorale Maria Aiuto dei Cristiani. Alle 10.30, presso l’oratorio Pier Giorgio Frassati (via Amendola 229), presiede la celebrazione eucaristica nel 5° anniversario della Comunità pastorale.
«Non è una visita pastorale vera e propria (questa si terrà infatti il prossimo mese di maggio nel Decanato di Gallarate) – spiega il responsabile don Claudio Lunardi -. Si tratta invece di una celebrazione domenicale presieduta dall’Arcivescovo che viene per donarci la sua parola e incoraggiare il cammino della nostra Comunità pastorale. La sua presenza s’inserisce nel percorso di verifica che stiamo facendo all’inizio del secondo quinquennio di vita. Ed è bello poterlo fare affidandoci all’Arcivescovo, segno visibile dell’unità della nostra Chiesa, e riconoscerci sempre di più comunità missionarie chiamate a essere, come dice papa Francesco, case aperte, luoghi della misericordia gratuita dove tutti possano sentirsi accolti e amati».
Come vi siete preparati per questo momento?
Abbiamo iniziato durante il tempo di Avvento con due serate di formazione guidate dal decano monsignor Ivano Valagussa e dal Vicario episcopale di Zona monsignor Franco Agnesi. Siamo stati guidati a rileggere il volto di Chiesa che emerge dalle linee pastorali dell’Arcivescovo, in particolare a riflettere sui passi da compiere come Comunità per realizzare e vivere concretamente il pensiero di Cristo. Quest’ultima settimana è stata dedicata alla preghiera e all’adorazione eucaristica.
Come è nata la vostra Comunità pastorale? E come siete organizzati?
La nostra Comunità pastorale è formata da quattro parrocchie: Cavaria, Oggiona, Premezzo e Santo Stefano. Si estende su due Comuni, per un totale di oltre 10 mila abitanti, distribuiti in 4 mila famiglie. L’inizio di questa esperienza non è stato facile: abbiamo faticato per capire che cosa ci venisse chiesto, quale fosse la nuova prospettiva con cui guardare alle realtà parrocchiali, che ruolo dovessero assumere i laici. Le Missioni popolari sono state un momento forte, che ci ha aiutato a vedere la Comunità pastorale con gli occhi della fede: non un ambito caratterizzato da un’organizzazione più o meno efficiente, ma un cammino comune da percorrere insieme, guidati e illuminati dalla Parola, per creare una vera comunione di persone che trova la sua ragion d’essere in Gesù Cristo. Fino a pochi mesi fa, per le quattro le parrocchie, c’era un solo sacerdote, tre Sorelle della parrocchia e una suora delle Immacolate di Ivrea. Anche i laici hanno dovuto assumersi le loro responsabilità pastorali. Pensare e lavorare insieme ci rende sempre più convinti della necessità e del dono della Comunità pastorale. Insieme si progetta, si collabora nella catechesi, nella liturgia, nella pastorale familiare e, in certe occasioni, anche le celebrazioni sono comuni: come la Veglia pasquale, la Notte di Natale, la Settimana eucaristica e gli esercizi spirituali. In passato le nostre parrocchie si identificavano profondamente con il paese in cui si trovavano. Tutto ciò aveva contribuito a creare legami solidi, ma anche radicati campanilismi, in cui territori vicini si contrapponevano dando vita a fenomeni di divisione, più che di comunione. La nascita della Comunità pastorale ha contribuito invece a riavvicinare i diversi gruppi, ha permesso di costruire relazioni positive, di collaborare, ci ha aiutato insomma a sentirci Chiesa, un’unica Chiesa.
Immigrazione: quali le nazionalità più presenti? C’è integrazione?
Nelle nostre parrocchie gli immigrati sono parecchi, quasi un migliaio. La maggior parte di questi sono pakistani. La Caritas della Comunità pastorale è particolarmente attenta nei loro confronti, ma non solo, e coordina gli interventi per le famiglie bisognose. Inoltre, in accordo con la Caritas diocesana, accoglieremo nella casa parrocchiale di Santo Stefano, da anni chiusa, quattro profughi provenienti dall’Africa.