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Il Signore Gesù ebbe fame Mt 21,18

Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, Inaugurazione Anno Accademico, Milano, Basilica di San Simpliciano - 12 dicembre 2024. “Essere cristiano in un mondo che non lo è più” (Card De Kesel)

12 Febbraio 2025

1. “Il Verbo si fece carne”

Quest’uomo affamato che rientra in città, quest’uomo stanco che si ferma al pozzo di Sicar, quest’uomo assettato che chiede da bere alla donna samaritana, quest’uomo che piange per l’amico sepolto da quattro giorni, questo condannata che grida la sua sete, quest’uomo è la rivelazione di Dio, il Verbo di Dio.

Che cosa possiamo conoscere di Dio, se non accogliamo la sua rivelazione, il suo farsi carne?
E quale pensiero può sapere di che cosa siano la fame, la sete, lo strazio? Quale parola può descrivere la fame a chi non ha mai avuto fame, la sete a chi non ha mai avuto sete?
Può essere che una astrazione, un concetto sia di qualche utilità per sapere della fame e delle lacrime?
E d’altra parte può bastare aver esperienza della fame per introdursi alla vita e alla conoscenza di Gesù, della fame del Signore Gesù?
Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto (Gv 14,26).

Così, credo, comincia la teologia cristiana, con una docilità allo Spirito Santo che rende partecipi di quell’essere uomo di Gesù che abita la carne, la fame, la sete, lo strazio di ogni uomo e donna e ne rivela la gloria: il Verbo si fece carne e noi abbiamo contemplato la sua gloria (Gv 1,14).

 

2. I discepoli rimasero stupiti (Mt 21,20).

Bisogna condividere lo sconcerto dei discepoli perché la rivelazione della gloria del Signore sia accolta nei pensieri troppo piccoli, nei pensieri troppo pigri, nei pensieri troppo rigidi dei figli degli uomini. Le memorie evangeliche sempre annotano l’incomprensione dei discepoli, le loro risposte sbagliate, le loro domande fuori posto. E insieme sempre dicono l’insistenza, la pazienza di Gesù per istruirli, per spiegare loro il significato delle sue parole e delle sue opere. Il pensiero troppo piccolo può aprirsi alla rivelazione troppo gloriosa solo se rimane con Gesù, solo se lo stupore non induce a scandalizzarsi di Gesù, ma a purificare il cuore per vedere Dio.

I dottori della legge, gli scribi e i farisei, quelli che stanno all’esterno del gruppo dei discepoli, gli intellettuali presuntuosi hanno obiezioni e critiche per quello che Gesù dice, per quello che fa, per il modo e il tempo in cui opera. Gesù si rivela una presenza e una pretesa inquietante e infine insopportabile per gli intellettuali del suo tempo.

I discepoli, pescatori e pubblicani, personalità insignificanti, imparano della fame e della sete, della potenza e della gloria di Gesù perché continuano a stare con lui, a camminare con lui ad andare e venire dalla città che esalta Gesù e lo respinge. Solo chi sta con Gesù e cammina con lui può diventare suo amico, cioè ricevere le sue confidenze, ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi (Gv 15,15).

 

3. Ma non vi trovò altro che foglie (Mt 21,19)

La pianta promettente si rivela una delusione, l’apparenza nasconde il vuoto, invece del frutto dolce desiderato, non ci sono altro che foglie.
Gesù affamato incontra l’apparenza deludente, Gesù riconosce l’inconsistenza delle belle pietre del tempio destinato alla rovina, Gesù denuncia il vuoto e le ossa di morti che sono come sepolti sotto l’esibizione del comportamento ineccepibile dei sepolcri imbiancati (cfr. Mt 23,27).

Quando Gesù ha fame che cosa trova nelle nostre organizzazioni efficienti, nelle nostre accademie prestigiose, nelle nostre celebrazioni devote, nelle nostre pubblicazioni famose?

Ecco la benedizione che si deve pronunciare su un anno accademico in questa facoltà teologica:

  • che nella carne, nella fame, nella storia di Gesù noi contempliamo la sua gloria, la gloria di Dio;
  • che il nostro essere troppo inadeguati a comprendere Gesù convinca alla sequela dei discepoli;
  • che le nostre fatiche non siano per produrre apparenze promettenti, ma il frutto dolce che può sfamare il desiderio di Gesù e regali dolcezza ai piccoli, ai suoi eletti che gridano verso di lui giorno e notte (Lc 18,7).