Far coincidere un pellegrinaggio con un benefit aziendale sembra ardito, se non impossibile. Invece è una sicurezza. La perdurante crisi economica non permette di ipotizzare un aumento degli stipendi, perciò il Governo ha deciso di giocare di sponda e di andare incontro al mondo del lavoro non tassando i benefit aziendali sia sul fronte del fisco sia su quello dell’Inps.
«L’argomento non è nuovo, conferma Vittorio Spinelli su Avvenire. Ne tratta già il Testo Unico delle Imposte all’art. 51, ma ha assunto con l’attuale legge di stabilità e con la circolare 28/AE un ampliamento ed una accelerazione. In sostanza il sistema dei benefit diventa più conveniente rispetto al passato sia per il dipendente sia per l’azienda».
Certo, misurare con rigore il raggio d’azione soggetto a tale trattamento non è cosa facile. Tuttavia la normativa individua delle aree abbastanza precise: le opere e i servizi forniti dal datore di lavoro ai dipendenti, che abbiano finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria oppure di culto.
Proprio così recita «esplicitamente il Tuir, ma quasi tutti omettono l’indicazione o la dimenticano», chiosa l’esperto.
L’elargizione, che per legge non deve superare i 2mila euro, può essere estesa anche ai famigliari dei dipendenti. C’è sostanziale accordo, tra i competenti, nel ritenere che il benefit di culto debba circoscriversi ad un viaggio – anche fuori dall’Italia – con finalità religiose o ad un pellegrinaggio.
Di questa possibilità possono avvalersi tutte le aziende e non solo quelle con impronta confessionale: dalle multinazionali alle piccole e medie imprese.
Difficile aspettarsi – per motivi comprensibili – che sia il datore di lavoro a fare una simile proposta. Tuttavia il singolo dipendente o gli organi aggregativi (dal Cral al sindacato) possono osare.