Non sono bamboccioni, tutt’altro. Hanno voglia d’impegnarsi, ma non trovano, nel nostro Paese, un modo con cui esprimere le loro potenzialità. In una parola, sono sfiduciati. L’immagine emerge dal “Rapporto giovani 2013”, promosso dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con Fondazione Cariplo e Università Cattolica, confluito nel volume La condizione giovanile in Italia, presentato a Milano. La ricerca nasce dall’«esigenza forte di conoscere i giovani», dei quali si danno per scontate «troppe cose», ha dichiarato Alberto Fontana (Fondazione Cariplo), mentre Elena Marta (Università Cattolica) ha osservato come, «ascoltandoli bene», emergano «le contraddizioni che riversiamo su questa generazione». I dati in alcuni tratti confermano le aspettative, in altri offrono risultati sorprendenti.
L’identikit dei giovani
«Nel dibattito pubblico italiano è persistente la questione generazionale», ha annotato Alessandro Rosina, direttore del laboratorio di statistica applicata della Cattolica, riconoscendo come «una società cresca e prosperi quanto più investe nell’apporto – qualitativo e quantitativo – delle nuove generazioni». Un tema rispetto al quale, tuttavia, l’Italia sembra chiamarsi fuori, come emerge, per esempio, dai dati negativi sulla natalità e da quelli – viceversa troppo alti – sui Neet, i giovani che non studiano, né cercano lavoro. L’indagine, che coinvolge 9 mila giovani tra i 18 e i 29 anni (i cosiddetti millennials, divenuti maggiorenni nel XXI secolo) e intende seguire i loro percorsi di vita per 5 anni, al termine del primo anno di lavoro presenta l’identikit di una persona che abita con i genitori e non ha un lavoro stabile, s’informa soprattutto on line, usa il web tutti i giorni ed è convinto che «le nuove tecnologie migliorino informazione e consapevolezza», è più istruito del resto della popolazione, vorrebbe una famiglia con almeno due figli, considera il lavoro un mezzo per realizzarsi, ma vede con incertezza il proprio futuro, è insoddisfatto della propria situazione economica, ha poca fiducia nelle istituzioni politiche.
Il lavoro che non c’è
È vero che i giovani escono tardi dalla casa dei genitori, ma tre su quattro (65,3% dei maschi, 61,8% tra le femmine) sono poi costretti a rientrarvi «quando il posto di lavoro viene meno o se esso non consente loro di mantenersi». Eppure il lavoro è considerato «uno strumento diretto a procurare reddito» (90%), ma pure «un luogo d’impegno personale» (90%), «un modo per affrontare il futuro» (89%) e «uno strumento per costruirsi una vita familiare» (86%). Una fotografia che «sfata il luogo comune dei giovani bamboccioni e schizzinosi», ha evidenziato Rosina, ma che mostra pure una «realtà penalizzante»: il 47% dei giovani si adegua a una retribuzione che considera insoddisfacente, oppure accetta un lavoro che non corrisponde alle proprie aspettative. Significativo pure il 48% di giovani disponibile ad andare all’estero: un dato al quale corrisponde il boom degli espatri, che ha visto nel 2012 quasi 80mila italiani lasciare la madrepatria (dati Aire), e tra costoro oltre 35mila under 40.
La realtà e le aspirazioni
Aspirazioni e realtà si scontrano, poi, nelle scelte di vita: vorrebbero avere da 2 a 4 figli, ma facendo i conti con la realtà dimezzano (da oltre il 30% al 15%) quanti ritengono che ne avranno 3 e aumentano le risposte a favore del figlio unico o addirittura per nessun figlio. Abituati all’uso delle nuove tecnologie, sono tuttavia scettici sulla capacità di produrre vero rinnovamento e incidere sui processi decisionali, convinti (50%) che «pur aumentando le possibilità di partecipazione, alla fine le decisioni vere passano ancora attraverso vecchi canali». E, pur essendo consapevoli di essere «la principale ricchezza del Paese» (95,7%), hanno scarsa fiducia nelle istituzioni, dalle quali si sentono ignorati. Un campanello d’allarme cui ha risposto il sottosegretario al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Carlo Dell’Aringa, sostenendo l’esigenza di offrire “servizi validi” in grado di accompagnare i giovani al di là del guado, con un investimento che sia non solo economico, ma anche culturale.