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I media e i bambini

Gli investimenti nella tv per i bambini

di Filippo Magni

20 Giugno 2011

Investire nella tv per bambini, da un punto di vista strettamente economico, non conviene. I responsabili delle maggiori emittenti europee lamentano il fatto che sia molto difficile vendere gli spazi pubblicitari all’interno delle trasmissioni per ragazzi, anche per quanto riguarda quelle di maggior successo. I giovanissimi, infatti, sembrano essere un pubblico poco appetibile per le grandi industrie e il motivo è presto spiegato: in famiglia sono i genitori, e non i ragazzi, a scegliere cosa acquistare.

Se dunque è vero che le reti televisive hanno interesse a rendere lo spettatore affezionato a un’emittente piuttosto che a un’altra fin da piccolo, ciò è legato ad un’ottica commerciale proiettata verso il futuro, quando il bimbo diventerà un adolescente o un adulto con la possibilità di gestire le proprie finanze. In ottica commerciale, per dirla in parole povere, un telespettatore in età da scuola elementare “rende” poco alle reti tv, che quindi sono meno stimolate ad investire grandi somme per programmazioni dedicate all’infanzia.

La povertà degli investimenti sembra dunque essere il grande problema della tv per bambini in Europa, con alcuni casi maggiormente preoccupanti quali per esempio la situazione dei broadcaster inglesi: la legge “anti-obesità” approvata lo scorso anno dal governo Blair ha vietato la pubblicità delle merendine, che rappresentavano uno dei maggiori introiti negli spazi promozionali delle trasmissioni per i giovanissimi, costringendo di fatto alla chiusura diversi programmi che proprio su quelle pubblicità basavano la propria sussistenza.

Tale scarsità di fondi ha portato, come è facile intuire, a un impoverimento dell’offerta per i ragazzi: sono sempre meno le reti che producono programmi da sé e sempre più quelle che acquistano pacchetti preconfezionati all’estero (per lo più negli Stati Uniti), con la conseguenza di proporre ai bambini modelli culturali e sociali che non appartengono alla realtà dello Stato in cui vengono proiettati e che dunque i ragazzi sentono lontani.

Il fattore economico limita anche molto la sperimentazione, è raro che si tenti di inventare qualcosa di nuovo, ma si tende sempre più a copiare modelli d’oltreoceano o a riproporre format vecchi e poco allettanti per i ragazzi di oggi, con la conseguenza che i bimbi preferiscono vedere la tv in prima serata con i genitori piuttosto che nelle ore del pomeriggio, quella “fascia protetta” che tradizionalmente dovrebbe essere riservata ai piccoli. Qualche tentativo di innovazione è presente in Europa (come i due casi esaminati in seguito), ma spesso tali programmi sembrano guidati dalle leggi del (poco) mercato piuttosto che da un progetto educativo e formativo che stia alla base della trasmissione.

Pare dunque evidente che la leva economica offerta dal mercato non è sufficiente per stimolare le emittenti a puntare sulla programmazione di qualità per i ragazzi e dunque la proposta che maggiormente è diffusa è che siano i Governi a spingere le reti tv a una programmazione a misura di bambino, offrendo loro dei vantaggi economici quando il piccolo schermo, oltre che intrattenere, svolge anche il compito di formare i ragazzi.

I media e i bambini: Il nuovo che avanza

I casi presi in esame e proposti alla visione sono stati proiettati in occasione dell’evento “Ragazzi che tivù”, forum internazionale sulla televisione di qualità promosso dal Corecom Lombardia lo scorso mese di dicembre.

La presentazione consiste nella proiezione dei due programmi, nella sottolineatura di alcune loro caratteristiche comuni e di altre peculiari e infine nell’esposizione delle motivazioni che hanno spinto i responsabili delle emittenti a produrre tali trasmissioni.

Deksels (fetta di torta) rete kro, Paesi Bassi
Proiezione filmato, (2’48”)

La trasmissione è semplicissima: due bambini di 4 e 5 anni si cimentano in cucina nella preparazione dei loro alimenti preferiti. Nello spezzone proposto, due fratelli “cucinano” il burro di arachidi. La scena è molto familiare, non ci sono scenografie e la cucina potrebbe essere quella di qualunque casa europea. Ciò che maggiormente spicca è la totale assenza, in scena, degli adulti: i due bimbi si danno da fare nell’apertura (con forbici affilate) del sacchetto di arachidi, le sbucciano, le frullano, versano il composto in barattoli e preparano un tramezzino da soli, senza interventi esterni. I due piccoli cuochi, nei pochi minuti in cui sono ripresi, sono liberi di comportarsi come preferiscono senza che nessuno, apparentemente, dica loro cosa fare.

Il perché dell’assenza degli adulti è ben illustrato da Jan Willem Bult, direttore creativo della sezione giovani di Kro, rete pubblica olandese: «Per tutto il giorno i ragazzini sentono un genitore, un maestro, un parente, un adulto che cerca di insegnargli qualcosa. Noi di Kro abbiamo cercato di fare in modo che fossero i ragazzi stessi a insegnare ai coetanei e in qualche modo anche agli adulti. Quando un bambino parla a un bambino della sua stessa età, la comunicazione è più efficace e l’insegnamento più diretto».

Scary sllepover (notte da brivido) rete citv, Regno Unito
Proiezione filmato (7’48”)

Tre bambini di 8, 9 e 10 anni chiusi per tutta la notte da soli in una casa degli orrori popolata da fantasmi, scricchiolii sinistri, ragnatele e tutto quanto può terrorizzare un bambino.

Se resistono fino al mattino senza scappare, vincono un premio; se anche uno solo, impaurito, chiede di uscire premendo il tasto rosso dell’emergenza, perdono tutti e tre. È Scary sleepover, un programma tv per bambini ideato e prodotto dalla rete commerciale inglese Itv e che ha ottenuto in tutto il Regno Unito un enorme successo, accompagnato da cori di critiche data la natura della trasmissione.

Si tratta del reality game e anche qui spicca l’assenza degli adulti: i ragazzini (che non si conoscono tra loro) sono lasciati soli, si fanno forza l’un l’altro nei momenti di maggior tensione e sono uniti dall’obiettivo di resistere fino alla mattina senza farsi vincere dalla paura. Una sorta di “Grande fratello” del terrore, dove non mancano pianti, delusioni, gioie, momenti di allegria e di sconforto, tutto davanti all’occhio della telecamera. Emergono i caratteri più coraggiosi, che si propongono come leader del gruppetto, e i meno pronti a un’esperienza del genere, pietrificati dalla paura e dal desiderio che il tempo passi il più in fretta possibile.

Un gioco divertente secondo alcuni critici, emozioni forti in vetrina per altri; Anne Brogan, tra gli ideatori del programma, non ha dubbi: « I protagonisti del gioco non sono mai in pericolo né fisico né psicologico: in Inghilterra molte associazioni hanno criticato Scary sleepover, ma figli e genitori hanno espresso solo apprezzamenti per lo show.

Le indagini di mercato dimostrano che ai bambini piacciono tre cose in tv: i reality show, essere spaventati e vincere premi. Noi di Itv abbiamo fuso questi elementi e abbiamo creato il programma, dando ai concorrenti 2 sole regole: necessario il gioco di squadra ed evitare le parolacce. Perché i bambini vogliono provare paura? Perché vogliono spingersi molto più in là di quanto pensiamo, vivere situazioni difficili per convincersi che anche in futuro, nella realtà, sapranno affrontare momenti altrettanto duri»