Un’inedita immagine di Cristo – a suo agio tra pietanze, ricette e attrezzi da cucina – è quella fornita dal teologo lodigiano Giovanni Cesare Pagazzi ne La cucina del Risorto. Gesù cuoco per l’umanità affamata (63 pagine, 5 euro), con cui la Emi inaugura in questi giorni la collana “Pane nostro”, dedicata ai temi di Expo 2015 e realizzata in collaborazione con l’Arcidiocesi di Milano e la Caritas Ambrosiana. Pubblichiamo uno stralcio del volume.
I Vangeli riportano, del Figlio nella carne, un dettaglio ben più inatteso della ricetta per fare il pane. Esso acquista un valore quanto mai significativo poiché reso alla fine del Quarto Vangelo. È risaputo che i narratori curano con attenzione particolare l’inizio e la fine dei loro racconti, perché l’inizio promette e la fine raccoglie. Inoltre, si tratta di narrare l’ultima apparizione del Risorto. Il contesto è il lago di Tiberiade, dove il vincitore della morte, non riconosciuto, incontra Pietro, Giovanni, Giacomo, Tommaso, Natanaele e altri due, tutti amareggiati da una nottata di pesca infruttuosa (Gv 21,1-14).
L’approccio di Gesù è piuttosto ironico, dato che il lettore sa già che gli esperti pescatori sono a mani vuote: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Alla risposta negativa, il Signore ribatte incoraggiando una nuova uscita sul lago. Ed ecco la stupenda pesca miracolosa. Alla fine, quegli uomini hanno cibo in abbondanza da offrire allo sconosciuto rimasto a riva. Eppure, «appena scesi a terra, videro un fuoco di brace, con del pesce sopra e del pane» (quello delle tre misure di farina).
Certo, con la potenza della sua parola di Risorto, Gesù avrebbe potuto creare dal nulla brace, fuoco, pesce e pane; ma compiendo un’azione concretissima – prendere del pesce pescato dagli apostoli -, dissolve tutti i dubbi circa l’effettiva «manualità» del Risorto e il suo rapporto con le cose, ancora disponibili alla presa della sua mano. Ciò dà adito a una lettura realisticamente gestuale della vicinanza del Risorto al fuoco, al pesce e al pane: è Gesù che ha raccolto la legna, ha acceso il fuoco, ha procurato il cibo, ha cucinato… Senza scostarsi dal fuoco, chiede di portargli un po’ del pesce appena pescato, con l’evidente intenzione di cuocere anche quello. […]
Gesù non si accontenta di alimentare, nutrire, e nemmeno di ricevere il cibo, ma cucina, trasforma, con quanto questo umanissimo gesto richiede in attenzione a cose e persone. Attingiamo per un attimo a quell’immaginazione tanto auspicata da Ignazio di Loyola al fine di gustare i misteri della vita del Signore. Chissà come Gesù avrà cucinato il pesce pensando a Pietro e compagni, alle loro esigenze e preferenze: un po’ crudo, per non perdere il sapore dell’acqua di lago? Ovvero arrostito a puntino, così da arricchirne l’aroma col profumo resinoso della legna arsa? Non sappiamo. Una cosa però è certa: se egli ha cucinato, ha intuito non solo le proprietà nutrizionali di pane e pesce, ma ne ha pure esaltato le potenzialità di piacere e compiacere. Se ha cucinato, non solo ha donato il pane che, ringraziando, ha ricevuto (come la vita), ma ha saputo trasformare cose diversissime (acqua, farina, lievito, pesce…) in qualcosa di vitale e gustoso per ciascuna persona a lui affidata. Dal momento che il Figlio è venuto nella carne, egli ha palato e quindi sa cosa significa nutrire gente che ha palato, e un palato diverso per ciascuno. Se ha cucinato, ha posto tradizionale e creativa attenzione a cose, tempi, azioni e persone, ai loro gusti, a ciò che potevano e dovevano mangiare. Gli ospiti avranno colto nel gesto del Risorto un indizio di quelle azioni promesse da Dio che «preparerà un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati» (Is 25,6)? A dirla tutta, per ora si tratta solo di un po’ di pane e pesce; ma il fatto che siano cucinati annuncia che fornelli e pentole sono già all’opera.