Giovani che desiderano formare una famiglia e avere figli nonostante le difficoltà della società di oggi. Ma anche ragazzi che hanno paura di un impegno definitivo. Quali le ricadute pastorali dei risultati emersi dal «Rapporto giovani» dell’Istituto Toniolo con Ipsos? L’abbiamo chiesto a don Maurizio Tremolada, responsabile del Servizio per i Giovani della Diocesi di Milano.
Quasi il 60% dei giovani intervistati dice di voler avere una famiglia. Cosa si può fare per aiutarli?
È importante accompagnarli, aiutandoli a orientare nel modo giusto sentimenti e desideri. Educatori, parrocchie e Pastorale giovanile devono seguire i ragazzi sia da un punto di vista educativo che pedagogico. Bisogna, dunque, insegnare loro che l’amore, secondo il modello proposto da Gesù, è la capacità di donarsi. La famiglia è la proiezione verso l’altro, un dono gratuito, fedele e totale. Una visione molto diversa da quella individualistica della società di oggi.
Tre su quattro vogliono avere due o più figli. Come valutare questo dato?
È un desiderio interessante. Esprime infatti una volontà di comunicare la vita, che va oltre il sé: educare un’altra libertà che assume forma progressiva all’interno di una relazione. Molti ragazzi oggi vengono dall’esperienza di essere figli unici, hanno dunque il desiderio di vivere una dimensione di famiglia più ampia e sperano di poterlo fare nella propria. È sicuramente una prospettiva che va sostenuta e incoraggiata anche da un punto di vista pastorale.
Veniamo invece alle note dolenti. Solo un ragazzo su tre concorda con il fatto che debba essere fondata sul matrimonio. Come intervenire?
Molti giungono a questa riflessione per esperienza personale, perché hanno avuto problemi nella famiglia di origine. Vedono, dunque, in una relazione stabile un problema più che una risorsa perché portano dentro di sé profonde ferite. E di certo la società non li aiuta. È importante perciò dare loro modo di riscoprire la bellezza della scelta definitiva e del significato del matrimonio come consacrazione: una condizione di vita in cui Gesù è presente e sostiene. Non una gabbia o un peso, ma un orizzonte che si apre.
Spesso nel nostro Paese i giovani rimangono legati alla famiglia anche quando si sono sposati o comunque sono usciti di casa, sia per motivi economici che per avere un aiuto con la casa o con i figli. Come considerare questa tendenza? E come aiutare i giovani a responsabilizzarsi?
È positivo che molti ragazzi considerino oggi la famiglia come punto di riferimento e come risorsa di fronte alle difficoltà. Significa che per loro è stata luogo privilegiato per apprendere valori e comportamenti. È rischioso però se la famiglia viene vista come rifugio, economico e non. I giovani sono chiamati a stare in piedi da soli. Il contesto italiano certo non li favorisce e nemmeno le famiglie di provenienza, che tendono a trattenere. Ma è importante che da un punto di vista pastorale, attraverso i diversi cammini realizzati dalle parrocchie e dalla diocesi, si favorisca sempre una crescita della famiglia nel suo complesso e un’educazione globale dei giovani, affinché possano decidere in modo autonomo e siano in grado di costruirsi un futuro professionale.