«Vogliamo lavorare su qualcosa che continua a cambiare, l’oratorio, perché cambia il contesto. Siamo dentro una storia non decisa solo da noi – non viviamo più in una stagione culturale orientata cristianamente, come si dice spesso – e tutto questo ci interroga: oggi apriamo il sipario, dopo aver lavorato a luci spente dietro le quinte. Oggi presentiamo pubblicamente ciò che abbiamo elaborato». A introdurre così la presentazione del progetto Èoratorio – bellissimi il logo e lo slogan scelti – è stato, presso la Sala San Satiro della Basilica di Sant’Ambrogio, il direttore della Fondazione degli Oratori Milanesi, don Stefano Guidi accanto a don Giuseppe Como, vicario episcopale di Settore e presidente della Fom stessa.
«C’è un desiderio di muoversi insieme – continua don Guidi, presentando la nutrita serie di partners del progetto, perché bisogna coinvolgere sempre di più gli amici dell’oratorio, tanti soggetti diversi che hanno dimostrato, non a caso, interesse da subito. E questo è molto bello perche è nella natura dell’oratorio pensarsi insieme, creare legami che vanno oltre gli obiettivi dei singoli enti. La Chiesa serve anche e principalmente a questo, a permettere l’incontro e un lavoro condiviso tra diverse realtà».
E, in effetti, a scorrere i nomi di quanti condividono Èoratorio – dalle Università alle Fondazioni, dalle Associazioni degli educatori professionisti a Caritas ambrosiana, passando per il Pime, il Csi Milano e diversi Servizi e Uffici di Curia, si comprende la miltidisciplinarietà e l’indirizzo di metodo di un’iniziativa che intreccia esperienza sul territorio, ricerca accademica e scientifica, figure diverse. «Continuiamo a ripensare l’oratorio proprio perché è vivo, anche dopo il Covid. Avevamo iniziato l’esperienza promettente di “Oratorio 2020”, ma la pandemia ha schiantato tutto e ripartire non era scontato. Il Covid non è stato il capolinea, ma un test che ci ha permesso di capire qualcosa di più su noi stessi e che ci dice, avendolo superato, di una vitalità rinnovata».
Il progetto e gli obiettivi
Così come testimonia il progetto medesimo, della durata di 4 anni «che non significa solo condividere teorie, anche se bisogna avere qualcosa di solido da cui partire, ma coinvolgere tutti gli oratori su alcuni capitoli importanti in relazione al contesto storico in cui viviamo, considerato anche la multuculturalità e la presenza nei nostri oratori di tanti ragazzi di altre fedi».
Da qui gli obiettivi sintetizzati in 3 punti qualificanti. «Promuovere la prossimità interculturale e l’ospitalità verso l’altro, valorizzando l’accoglienza come valore fondante dell’oratorio», perché «ogni ragazzo, possa sentirsi riconosciuto nella propria unicità e spronato. Sostenere un orientamento vocazionale ampio e integrato con il mondo scolastico perché, in dialogo con queste istituzioni, il progetto punta a proporre possibili percorsi di orientamento che guidino ciascuno a riconoscere e sviluppare la propria vocazione personale, sociale e comunitaria» e «rafforzare il valore del tempo libero come esperienza di aggregazione e di esercizio delle proprie abilità, ripensando l’oratorio come spazio dinamico in cui le giovani generazioni possano sperimentare forme di socialità e di crescita». Quindi aggregazione anche «attraverso il gioco, le attività manuali».
Sono previsti ancora tre anni di elaborazione di Èoratorio, fino al 2027, che prevedono l’implementazione della fase di ricerca sull’identità di oratorio e sui nuovi linguaggi da assumere per condividere una progettazione innovativa sul territorio con l’analisi della realtà dell’oratorio dal punto di vista pedagogico, sociologico, teologico pastorale. L’attivazione della fase immersiva con l’avvio della progettazione pastorale ed educativa su alcune realtà territoriali individuate, attraverso un affiancamento degli operatori professionali. La realizzazione e lo studio di progetti a carattere innovativo, tenendo conto delle linee progettuali assunte e, infine, lo studio della replicabilità degli interventi pastorali ed educativi su larga scala nell’intero territorio diocesano. Insomma, si tratta di valorizzare ciò che già esiste di buono e che qualcuno, a livello sociologico, ha definito «l’oratorio super luogo».
Parole a cui ha fatto eco don Como. «Occorre vivere e non sopravvivere con un atteggiamento che non sia rivendicare un’identità rigida e intangibile, ma andare verso la realtà senza perdere lo specifico per cui l’oratorio esiste, l’amore di Gesù. Mi piace molto che questo progetto promuova una spiritualità giovanile che, non solo trasmette la fede, ma che si inventa ogni giorno: la fede in oratorio si consegna come un tesoro inestimabile, non come una dottrina, ma come un pensiero sorprendente, dando origine a sentimenti che fioriscono».
Far dialogare i saperi
Da parte sua, Antonino Romeo, pedagogista e insegnante, referente dell’Area progettazione e consulenza della Fondazione Oratori Milanesi, parla di una «riflessione culturale su cosa significhi oggi fare oratorio, basata sulla contemporaneità. Dentro questa visione, c’è stato un tentativo di far dialogare i diversi partners e anche gli Uffici di Curia interessati su una decina di ambiti. La finalità più importante – sottolinea – è accrescere la fede di chi frequenta gli oratori, incentivando buone pratiche di vita quotidiana che possono essere, poi, replicate, una volta intercettate».
Due i Tavoli di lavoro elaborati nel primo anno di avvio, «uno particolarmente innovativo, il Tavolo tecnico di progetto che è la somma di tutti gli operatori pastorali che rappresentano i diversi ambiti e il Comitato scientifico di ricerca in cui siedono i docenti delle Università che prendono parte a Èoratorio e che deve aiutarci a rendere ragione delle scelte che faremo nel futuro».
Lo scopo è quello di far dialogare i saperi e, naturalmente, le persone.
Guardare avanti
Secondo quanto evidenzia, sulla sua esperienza, don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria e fondatore della Comunità Kayros aderente a Èoratorio che interpreta la logica del progetto «come un sintomo di speranza e fiducia». Chiarissima la sua analisi. «L’emergenza – spiega – esiste specie quando parliamo di adolescenti, ma dobbiamo guardare avanti e l’oratorio può diventare un tempo opportuno per rivolgere lo sguardo a questi ragazzi e alla realtà tutta intera come dice il Vangelo. Anche chi è in difficoltà o delinque appartiene alla cura della Chiesa e al “Beccaria” vengono anche ragazzi che provengono da famiglie normali e dai nostri oratori. Oggi i ragazzi necessitano di figure di paternità e maternità che diano senso alla loro vita. Fare rete significa superare l’autoreferenzialità perché non esistono figli miei o tuoi, ma figli nostri. Questo progetto può essere un’occasione per rinvenire strumenti adatti all’oggi senza avere paura di perdere l’identità dell’oratorio che non è qualcosa di statico, ma che si forma dentro le situazioni reali. Ovviamente, non rinunciamo alle nostre tradizioni, ma guardiamo avanti con coraggio nella consapevolezza che le nostre stesse comunità, talvolta, non sono pronte».
La voce dei docenti
Poi è la volta delle docenti, Giulia Schiavone dell’Università degli Studi Milano-Bicocca e Cristina Pasqualini della Cattolica, concordi nel delineare «l’oratorio come un oggetto di studio e di ricerca scientifica. Non si tratta di inventare qualcosa di nuovo, ma di immaginare nuove progettualità partendo dall’esistente, sapendo andare oltre, per trasformare la realtà. Abbiamo bisogno di una capacità esplorativa e di co-progettazione per intercettare esperienze e domande. Un pensiero progettuale che non è calato dall’alto, ma che interroga i territori e si costruisce esso stesso strada facendo».
Pasqualini aggiunge. «L’oratorio ci interpella in quanto studiosi e mi rendo conto sempre di più di quante tesi propongo ai miei studenti sugli oratori. La realtà oratoriana è complessa e richiede un’analisi che lo sia altrettanto con le regole dello studio sociale in una prospettiva epistemologica, scientifica e costruttivista, in modo da essere spendibile per ulteriori passi nel futuro».
A conclusione, è suor Rosina Barbari, domenicana, teologa pastoralista all’Issrm, impegnata nella parrocchia di San Nicolao della Flue e facilitatrice degli accompagnatori designati per i decantati a riguardo degli oratori, a osservare. «Questo progetto è un modo con cui la Chiesa abita un territorio, come comunità educativa in grado di nuove intuizioni. Ci si incammina verso un nuovo tipo di Chiesa più sinodale capace di farsi compagna di viaggio, perché è appassionata del suo tempo. Cosi la Chiesa riforma anche se stessa. Il progetto è innovativo e interessa la teologia pastorale nella logica di una sussidiarietà di forte valenza culturale».