“E tu, uomo di Dio, parlaci delle cose, parlaci del possedere, del vendere e del comperare, parlaci delle cose che ingombrano la nostra casa e la nostra mente, parlaci delle troppe cose dei ricchi e delle cose troppo poche dei poveri!”.
“Fratello, sorella, io non so delle cose, io so dei doni, io so dei segni.
Non vedo cose, ma doni: tutto mi parla di chi si è preso cura di me, di Dio che ha creato il mondo e dei figli degli uomini che l’hanno reso abitabile per me, per noi. Ecco, ogni cosa è dono.
Non vedo cose, ma segni: tutto mi parla e il pane mi parla della fame e il vino della gioia, e il seme mi parla della speranza e il denaro mi parla della sollecitudine, del bene che posso fare per chi è povero, dell’aiuto che posso dare per chi è nel bisogno, secondo la parola dell’apostolo: “la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza e vi sia uguaglianza.
Non voglio né l’indigenza né l’abbondanza, ma che le cose della casa siano il segno dell’essere fratelli e dell’avere tutto in comune.
Ecco che cosa posso dire delle cose: che sono doni, che sono segni, perché non diventino idoli che pretendono l’adorazione al posto di Dio e rendano schiavi invece che liberi, invidiosi invece che generosi”.
“E tu, uomo di Dio, parlaci del tempo, parlaci della durata che ci logora, parlaci del tempo insopportabile dell’essere malati, del trascinarsi penoso dei giorni della vecchiaia, parlaci del tempo che non passa mai e del tempo che passa troppo in fretta, parlaci del tempo che sfugge, parlaci dei dodici anni della donna malata che aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo i suoi averi senza alcun vantaggio, parlaci del tempo, uomo di Dio”.
“Fratello, sorella, io non so del tempo. Io so dei giorni, del sole che sorge e del sole che tramonta, io so dei giorni di festa e del cantico, dei giorni del tempo ordinario e del silenzio, dei giorni del lutto e del gemito e del silenzio. Non so dire dell’enigma troppo indecifrabile del tempo, so dire del ritmo che umanizza il tempo e dell’orario della giornata che rende le ore sempre vive di un invito: a pregare, a lavorare, a riposare, a dimorare nello stupore della presenza della gloria di Dio in Gesù, il Verbo fatto carne, cioè dell’eterno che entra nei giorni degli uomini.
Non so dire del tempo e dei suo trascorrere spietato e penoso, so dire dell’occasione, so dire dell’incontro, so dire del momento opportuno della donna che udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro tocco il suo mantello. Non so dire del tempo: so dire dell’oggi, di questo oggi festoso o dell’oggi penoso, dell’oggi tranquillo e dell’oggi drammatico. So dire dell’oggi, il momento giusto per incontrare Gesù, toccare con fede almeno il lembo del mantello e essere guariti.
Non so dire del tempo, so dire del ritmo e dell’incontro.”
“E tu uomo di Dio, parlaci del morire, del morire inevitabile che rende insensata la vita, della morte assurda inflitta da mano d’uomo, della morte straziante della figlioletta di Giairo e delle infinite morti troppo di troppo dolore, di troppo strazio”.
“Io non so della morte: intorno al morire c’è troppo trambusto e gente che piange e urla forte. Io non so della morte. So della voce che chiama: “io ti dico: alzati”. Io non so dire del dramma troppo indecifrabile del morire, so della promessa della vita; non conosco la parola che decreta la morte, ho però ascoltato e credo nella parola di vita eterna. Non so dire dello spavento e dell’angoscia di chi muore, nessuno da dire della morte di un altro. So dire del morire di Gesù che squarcia il velo e nel morire dona lo Spirito di vita.
Io non so della morte, vivo, vivo in attesa che si compia la speranza e venga il Signore per dire anche a me: “Io ti dico: alzati!”.
La decisione dei nostri fratelli di celebrare la professione solenne e la decisione della comunità monastica di accogliere questi fratelli per una appartenenza definitiva ci hanno qui convocati. E siamo venuti con il nostro affetto e il nostro desiderio di fare festa con loro.
Siamo venuti con le nostre domande a cercare risposta negli uomini di Dio. E la vita monastica non offre risposte alle domande mondane, ma apre cammini per invitarci a entrare nell’amicizia di Gesù e così forse possiamo imparare che non ci sono cose da possedere, ma doni da ricevere e segni per scrivere una storia di fraternità, non c’è il tempo, ma il ritmo per vivere il quotidiano e l’occasione per l’incontro, non c’è il trionfo spaventoso della morte, ma la vittoria della parola di vita eterna.
Così ci parla la vita monastica: fraternità, ritmo di vita e festa d’incontro, segno del regno che viene, attesa della parola di vita eterna.