La frase a cui si ispira l’intera lettera del nostro arcivescovo per questo Anno della fede suona così: «Credo. Aiuta la mia incredulità». È la frase di un padre straziato dal dolore, costretto a vedere il proprio figlio umiliato da una malattia misteriosa, che gli antichi non sapevano decifrare.
«Maestro – dice quest’uomo a Gesù – ti ho portato mio figlio che ha uno spirito muto. Dovunque lo afferri, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Questo succede sin dall’infanzia. Spesso lo ha buttato anche nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo». A Gesù, di cui ha tanto sentito parlare, quest’uomo rivolge una supplica accorata che lascia intravedere una sorta di sfinimento: «Se tu puoi fare qualcosa abbi pietà di noi e aiutaci!». A lui, Gesù ricorda con affettuosa autorevolezza che «tutto è possibile a chi crede». L’effetto è sorprendente: quest’uomo – dice il Vangelo di Marco – «rispose subito ad alta voce: “Io credo. Aiuta la mia incredulità!”».
Fermiamoci un momento su questa frase. Essa esprime bene il dramma della fede. Ne evidenzia i due aspetti: il bisogno di credere e la forte tentazione di non farlo. «Io credo», significa per quest’uomo sfiancato: «Io voglio credere, io ho proprio bisogno di credere!». È troppo forte in lui il desiderio di vita per il proprio figlio martoriato e per se stesso, spettatore impotente del suo strazio. Qualcosa dentro di lui lo spinge prepotentemente a pensare che l’ultima parola non può essere la desolazione. Per questo egli grida: «Io credo!».
Ma subito aggiunge: «Tu aiuta la mia incredulità!». E questo significa che la fede non va da sé, che qualcosa spinge in un’altra direzione, che una voce crudele dal di dentro suggerisce di non farsi illusioni, di guardare in faccia la realtà, di non aspettarsi nulla. Risuona l’eco del Salmo: «Le lacrime sono il mio pane, giorno e notte, mentre mi dicono sempre: “Dov’è il tuo Dio?”».
Così è sempre. Ogni uomo che vive sperimenterà questa tensione: da un lato il desiderio di vita e la speranza di un riscatto da parte di Dio; dall’altro la paura di fidarsi di Dio e di rimanere deluso. Una cosa potrà aiutare: sapere che lo stesso desiderio di vita e di bellezza è segno in noi della presenza e della potenza di Dio.
È bene dare il giusto peso alle prove della fede, è però indispensabile riconoscere tutto il peso che ha il desiderio di bene presente in noi. Questo desiderio è più forte di ogni tentazione, perché è vero. Viene dalle origini, dal cuore stesso di Dio. Nell’incontro tra il bene desiderato da questo padre sfinito e il bene donato a lui da Gesù sta il segreto di ciò che siamo chiamati a credere: non c’è male che impedisca al bene di manifestarsi, sotto forma di un gesto d’amore che può avere anche la misura del miracolo.
da Avvenire, 13/10/12