A trent’anni di distanza la memoria custodisce con emozione il ricordo di quella mattinata del 14 maggio 1986 quando, nella camera della Clinica Capitanio a Milano in cui era ricoverato, ho celebrato la Messa e amministrato l’unzione dei malati al professor Giuseppe Lazzati. Al momento opportuno, fu lui stesso a porgermi il palmo delle mani per l’unzione, quasi il gesto di offerta suprema di un uomo che dell’intera esistenza aveva fatto un servizio alla Chiesa e al nostro Paese. Morirà quattro giorni dopo, alle prime luci del giorno di Pentecoste. Ricordo che la sera prima, recandomi alla Clinica per quella che sarebbe stata l’ultima visita, gli proposi di celebrare l’Eucaristia vigiliare. Era tanto sfinito da non poter accogliere la mia proposta. Lasciandolo, pensai che davvero era ormai al termine della sua giornata terrena.
Ora mi torna alla mente una domanda che il Professore si faceva e che purtroppo è di dura attualità: «Perché i giovani oggi sono su posizioni di distacco e talvolta di disprezzo nei confronti della politica?». E così rispondeva: «Riconosciamolo, è difficile vedere oggi nella politica in atto l’intenzione di costruire la polis, cioè la città dell’uomo… Ma se si desse qualche segno diverso, sono persuaso che l’interesse tornerebbe…».
Lazzati richiamava, instancabile, le esigenze cristiane in politica, combattendo la separazione tra morale e politica. Una lezione oggi di singolare attualità, alla luce dei quotidiani episodi di corruzione e degrado della vita politica. Una lezione che impegna a coniugare distinte competenze: quella di una scienza sempre più competente dei mezzi e quella di una sapienza sempre più limpida dei fini. L’agire politico non può fare a meno del contributo offerto da una fede che si traduce in precisi valori morali. E se è vero che la Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire alla politica, è però «esperta in umanità», e non può non richiamare i criteri etici che devono orientare le soluzioni tecniche.
Ma non basta il richiamo, doveroso, ai valori, che rischia di essere un appello solo verbale: è necessario il contributo della politica, di quella «carità politica» che si fa carico con intelligenza e competenza delle condizioni più favorevoli allo sviluppo integrale dell’uomo e dei popoli. E nella sua operosa esistenza Giuseppe Lazzati ha coltivato la scienza dei mezzi e la sapienza dei fini. È stato a un tempo servitore leale dello Stato in molteplici responsabilità politiche (membro dell’Assemblea Costituente che elaborò la nostra Carta costituzionale, deputato al Parlamento, rettore dell’Università Cattolica) e appassionato educatore delle coscienze, in particolare dei giovani. Servendo lo Stato Lazzati ha mostrato l’alto valore delle istituzioni e del diritto come forma e garanzia della libertà; educando le coscienze ha mostrato come il fine dello Stato e della politica non può che essere la persona.
Ma il cuore dell’esistenza di Lazzati deve essere trovato nella sua limpida fede. Aveva diciannove anni quando, durante un corso di esercizi spirituali a Villa Sacro Cuore di Triuggio, avvertì l’urgenza di una decisione radicale per il Signore: «Voglio diventare santo! Mi assista il Signore con la sua grazia. Avrò innanzi agli occhi l’esempio dei santi, guarderò a Pier Giorgio Frassati, cercherò amici coi quali mi riesca più facile il bene». Una urgenza che l’ha accompagnato per tutta la vita nella rigorosa determinazione di cercare sempre e solo il Regno di Dio e la sua giustizia.
Il nostro amico e maestro è stato un cercatore. Lo è stato, direi, per professione accademica, con una insonne dedicazione allo studio e alla docenza; lo è stato come politico, impegnato nella ricerca di un nuovo corso democratico per il nostro Paese; lo è stato come educatore, facendosi cercatore con tanti giovani nel discernimento della volontà di Dio sulla loro vita; lo è stato come maestro di laicità, cercando le vie di una testimonianza laicale nel mondo. Ma è stato soprattutto cercatore di Dio, cercatore del suo volto: «Il tuo volto, Signore, io cerco, non nascondere il tuo volto da me».
Durante gli Esercizi spirituali del 1939, assunse come programma la parola di sant’Agostino nelle Confessioni: «Ci hai fatti per te o Dio e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te». E il ventunenne Lazzati commentò: «Questo grido del grande Agostino divenga il grido dell’anima mia: questo è il desiderio ardente del mio cuore».