2Mac 3, 1-8a. 24-27. 31-36; Sal 9 (10); Mc 1, 4-8
Nel periodo in cui la città santa godeva completa pace e le leggi erano osservate perfettamente per la pietà del sommo sacerdote Onìa e la sua avversione al male, gli stessi re avevano preso a onorare il luogo santo e a glorificare il tempio con doni insigni, al punto che anche Selèuco, re dell’Asia, provvedeva con le proprie entrate a tutte le spese riguardanti il servizio dei sacrifici. Ma un certo Simone, della tribù di Bilga, nominato sovrintendente del tempio, venne a trovarsi in contrasto con il sommo sacerdote intorno all’amministrazione della città. Non riuscendo a prevalere su Onìa, si recò da Apollònio di Tarso, che in quel periodo era governatore della Celesiria e della Fenicia, e gli riferì che il tesoro di Gerusalemme era colmo di ricchezze immense, tanto che l’ammontare delle somme era incalcolabile e non serviva per le spese dei sacrifici; era quindi possibile trasferire tutto in potere del re. (2Mac 3,1-6)
La prosperità e la concordia del popolo sono un dono del Signore, ma si tratta di un equilibrio fragile, esposto alla cura degli esseri umani. Purtroppo, senza alcun motivo ragionevole, l’intenzione di primeggiare di un singolo è occasione per esporre l’intera comunità al pericolo straniero.
Quanto accaduto al popolo di Israele durante l’epoca dei Maccabei è situazione comune, che chiede a tutti di considerare il proprio impegno: talvolta non ci si rende conto del fatto che i desideri malvagi hanno conseguenze sociali e spirituali notevoli, che si contrappongono alla possibilità di realizzare il Regno di Dio, per tutti. Essere testimoni di quel regno significa anche allontanare da sé ogni piccola tentazione, che potrebbe incrinarlo.
Preghiamo
Il malvagio si vanta dei suoi desideri,
l’avido benedice se stesso.
Nel suo orgoglio il malvagio disprezza il Signore:
«Dio non ne chiede conto, non esiste!»;
questo è tutto il suo pensiero.
Dal Salmo 9 (10)