Venerdì 3 febbraio la Visita pastorale “feriale” del cardinale Angelo Scola interesserà i due Decanati milanesi Centro storico e Vercellina. Alle 20.45 l’Arcivescovo incontrerà i fedeli presso la Basilica di San Vittore al Corpo a Milano (via San Vittore 25).
Centro storico, una pastorale che “respiri” per la comunità
«A questo incontro ci siamo preparati molto “laicamente”, nel senso che abbiamo cercato di coinvolgere la comunità con la costituzione di una commissione pastorale apposita e con la scelta delle domande – spiega monsignor Gianni Zappa, parroco di San Giorgio al Palazzo, San Satiro e San Lorenzo Maggiore, assistente diocesano dell’Azione Cattolica e decano del Centro storico -. Certo ne abbiamo parlato anche negli incontri tra sacerdoti, ma teniamo a sottolineare che la preparazione più intensa è stata svolta dai laici».
Come è composto il Decanato?
Comprende 27 parrocchie, alcune molto piccole. Sono presenti poi molte realtà ecclesiali importanti, comunità religiose maschili e femminili, l’Università Cattolica, la Biblioteca Ambrosiana, San Celso, Santa Maria delle Grazie, solo per citarne qualcuna. Una delle sfide che ci proponiamo è proprio quella di promuovere la comunione tra queste diverse realtà in una rete virtuosa. A livello di pastorale ordinaria, poi, il Centro storico ha un buon numero di persone che partecipano: circa un migliaio di ragazzi frequenta l’oratorio, circa 2 mila bambini prendono parte all’iniziazione cristiana, un buon numero di giovani seguono i corsi in preparazione al matrimonio. Vengono qui molte persone non residenti e per questo cerchiamo di realizzare una pastorale che “respiri” e di lavorare insieme.
Ma cosa significa essere Chiesa nel centro di Milano?
La nostra realtà comprende sfaccettature molto varie e caratteristiche molto specifiche. La popolazione non è molto numerosa, dato il territorio che copre il Decanato, ma qui non ci sono solo i residenti: ogni giorno arrivano 300-400 mila persone per motivi vari, dal lavoro al tempo libero, fino agli studi universitari. Ci siamo interrogati su chi sono per noi queste persone. Non tanto individui di passaggio, ma uomini e donne che danno al nostro territorio una fisionomia molto particolare. L’evangelizzazione è sicuramente una sfida, non solo per chi è residente, ma anche per chi passa qui molto tempo. I residenti vengono coinvolti per creare comunità ecclesiali capaci di accogliere e far sentire chi viene a proprio agio. Cerchiamo di evangelizzare in maniera creativa: moltissime chiese rimangono aperte ininterrottamente, ci sono celebrazioni in orari agevoli, alcune anche in “pausa pranzo”, per aiutare la partecipazione. Cerchiamo insomma di promuovere iniziative che possano far sentire le persone vive e protagoniste della vita della comunità.
Quali i problemi?
Innanzitutto un problema sostanziale è il rischio di avere una mentalità che consideri la fede in termini individualistici, che si vada alla ricerca solo delle realtà che danno soddisfazione. Per questo è importante alimentare il senso di comunità cristiana. È un cammino da fare pazientemente, ma è importante capire che la fede non si vive da solo, bensì respirando la comunità.
Come si declina la presenza degli immigrati?
È sicuramente particolare, rispetto al resto della città. Qui ha sede la Cappellania dei Migranti, alcune comunità fanno riferimento specifico a parrocchie del centro. Non sono tanti i migranti che abitano nel nostro territorio. A causa dei prezzi molto alti, a vivere qui sono soprattutto badanti e portinai, ma c’è comunque una presenza di stranieri.
E il rapporto con i turisti?
Abbiamo un patrimonio artistico estremamente importante e molto visitato, che necessita di essere valorizzato. Le chiese non devono essere solo musei, ma coinvolgere trasmettendo messaggi vivi di senso sulla realtà. Vorremmo che i turisti portassero con sé il messaggio che la nostra è una Chiesa di popolo.
Vercellina, sensibilizzare il benessere alla carità
«Le parrocchie che formano il Decanato Vercellina sono sette, tutte affidate al presbiterio diocesano – spiega il decano don Serafino Marazzini, parroco di San Francesco d’Assisi al Fopponino, presentando l’altra realtà che entrerà in dialogo con l’Arcivescovo venerdì 3 febbraio -. La nostra è una zona “bella” della città di Milano, abitata da persone benestanti. C’è un contesto solido e non degradato sul piano economico e culturale. Ma anche piccole zone di crisi o di povertà e ogni parrocchia cerca di prendersi cura delle persone e delle famiglie che vivono in situazioni di difficoltà. Sono molti i parrocchiani anziani e un buon numero di questi è accompagnato da immigrati che spesso partecipano alla vita ecclesiale e così diventano, a tutti gli effetti, abitanti delle nostre parrocchie. Per quanto riguarda i ragazzi, da noi sono presenti diverse scuole cattoliche. Risulta difficile l’aggancio degli adolescenti e dei giovani: il territorio offre loro molte opportunità e forse anche per questo, tendenzialmente, non vivono in situazione di disagio. Nelle varie parrocchie sono numerose poi le famiglie “ferite”, con genitori separati o divorziati».
La partecipazione alle attività è buona?
È diffuso l’individualismo, segnato da una forte secolarizzazione, seppur nel rispetto delle forme e nel riconoscimento dell’autorità delle figure ecclesiali (parroco e preti, Arcivescovo, Papa). L’abitudine di molti nostri parrocchiani è quella di lasciare spesso la città per il week-end: quindi la Messa festiva spesso non viene celebrata nella parrocchia di appartenenza, anche se questa viene vissuta lo stesso come un contesto comunitario dove “dissetarsi”, “nutrirsi”, per poi esprimere la propria fede e la propria testimonianza in altri contesti. Il numero di parrocchiani che frequentano con continuità le celebrazioni e la vita della parrocchia, a partire dalla Messa domenicale, è diminuito in questi ultimi anni. Ma registriamo la crescita qualitativa di adulti cristiani formati meglio e più corresponsabili nella loro collaborazione ai cammini formativi.
Quali le sfide per il futuro?
Sotto il profilo spirituale c’è difficoltà a raggiungere e coinvolgere nuove persone e realtà e “stanchezza”, ripetitività nella celebrazione dei sacramenti vissuti quasi sempre dalle e con le stesse persone. Sotto quello educativo è difficile fare comunità. Così come resta ancora da migliorare la comunicazione in parrocchia, tra le parrocchie del Decanato e con l’esterno. Dal punto di vista caritativo non è semplice passare dalla carità vissuta e testimoniata alla cultura della carità, un tema spesso evidenziato dall’Arcivescovo. Mentre sul versante culturale la sfida è quella di far crescere e maturare lo spirito missionario per “contrastare con dolcezza” i fenomeni dell’indifferenza e della secolarizzazione che coinvolgono sempre più le classi sociali abbienti.