«Diverse ragioni rendono particolarmente significativa la presenza di Sua Beatitudine tra noi. Anzitutto l’eroica testimonianza cristiana dei nostri fratelli nelle martoriate terre del Medio Oriente». Sono queste le parole con cui il cardinale Scola accoglie in Duomo il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca dei Maroniti in Libano, che nel contesto dell’iniziativa «Evangelizzare la metropoli» incontra il clero ambrosiano (in serata sarà la volta dei laici).
Sono entrambi Padri sinodali, nell’assemblea appena conclusa. E l’Arcivescovo infatti richiama l’appello per la pace in Medio Oriente reso pubblico a conclusione del Sinodo stesso: «La pace in Medio Oriente non può essere data con scelte imposte con la forza, ma con decisioni politiche rispettose delle particolarità culturali e religiose delle singole Nazioni. Siamo convinti che la pace è possibile ed è possibile fermare le violenze che coinvolgono sempre di più innocenti, aggravando la crisi umanitaria di quelle terre». Un tema, la pace possibile, che torna con forza nell’intervento del Cardinale libanese, «Pastore di una Chiesa che vive secondo una tradizione particolare, quella maronita (prende nome dal suo fondatore, San Marone, asceta siriano che la istituì nel IV secolo), e un rito proprio, l’antiocheno, dimostrando la pluriformità nell’unità che è la legge della Comunione», nota ancora Scola.
Uomo notissimo nel suo Paese e a livello internazionale, il patriarca Béchara, presidente della Conferenza episcopale libanese e del Consiglio dei Patriarchi cattolici di Oriente, è il 77° successore di Giovanni Marone e tra i protagonisti del dialogo perché «il capo della Chiesa maronita è chiamato a portare nel Collegio dei Cardinali la voce degli arabi cristiani». «Il Libano è considerato da tutti i maroniti la patria spirituale – spiega subito il Patriarca -. Lì è la sede patriarcale, lì è la nostra storia e forza. I maroniti si trovano nei cinque continenti come i rami di un grande albero che ha le sue salde radici in Libano. L’autorità della Chiesa maronita è rappresentata dal Patriarca e dal Sinodo dei Vescovi, tanto che egli è detto Patriarca di tutto l’Oriente, secondo i confini dell’antico impero ottomano e dell’impero romano d’Oriente. Una Chiesa, quella maronita, completamente unita a Roma, sempre a lei fedele».
Dopo un ampio excursus storico, ciò che delinea il Cardinale libanese è la situazione della sua Chiesa nel contesto del dialogo intra-ecclesiale – come lo definisce -, ecumenico e interreligioso secondo la logica dell’evangelizzazione.
L’evangelizzazione
«Abbiamo mezzi mediatici per annunciare il Vangelo in Libano, Siria, Giordania, Qatar, Terra Santa e registriamo una grande vivacità di iniziative: a livello interecclesiale, c’è la Commissione del Catechismo del Medio Oriente, per coordinare l’insegnamento della Catechesi. Organizziamo convegni, in un anno abbiamo promosso ben quattordici congressi biblici; abbiamo Cappellanie nelle scuole statali dove si insegna religione. A volte accade che, in piccole scuole, i musulmani stessi frequentino la catechesi cristiana o mandino i loro figli in scuole cattoliche.
Evangelizziamo nella metropoli a livello parrocchiale, con l’aiuto dei fedeli, attraverso le fraternità e i movimenti, specie per i giovani, con l’animazione della liturgia domenicale, le novene, la preparazione nelle parrocchie alla prima Comunione anche per i genitori dei ragazzi e attraverso la liturgia funebre che coinvolge tutta la comunità. I laici sostengono veglie settimanali nelle famiglia attorno a un brano del Vangelo. In tutte le parrocchie ci sono centri di preparazione al matrimonio che si svolgono in sei sedute con un programma stabilito dall’Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi. In Libano, per fortuna, non esiste il matrimonio civile, perché i musulmani lo rifiutano categoricamente; per cui si può dire che tutti coloro che celebrano il matrimonio devono aver frequentato questi corsi. Non mancano Centri di ascolto per le “famiglie ferite”, spesso convocate dal Vescovo per comprenderne le difficoltà. Questi dialoghi ci hanno aiutato a risolvere molte questioni prima che i coniugi si buttino tra le braccia degli avvocati. In Libano vi è un Tribunale unificato per i Maroniti, dove è istituito un Centro di ascolto per trovare una conciliazione».
Insomma, una realtà del tutto peculiare, quella del Paese dei Cedri. Lo sottolinea Béchara: «Secondo i cosiddetti Statuti personali – che dal tempo di Maometto significa “a ognuno la sua religione” – ogni comunità ha i suoi Statuti. In Libano religione e Stato sono separate. Tutto ciò che riguarda religione, matrimoni, effetti civili, beni culturali ed ecclesiastici non è gestito o legiferato dallo Stato ed è un bene».
E ancora: «Non esistono cittadini libanesi che non abbiano religione, perché il sistema è basato sull’appartenenza non a un partito, ma a una confessione. È questa una grande garanzia per non essere trascinati verso la laicità di tipo occidentale o l’islamizzazione. La nostra è la convivialità organizzata di un Paese dove nessuno è sommerso dalla maggioranza, ma ognuno mantiene la sua identità. Per questo dico sempre che il Libano è un edificio di cui le diverse religioni sono pietre». Dunque una Nazione, ma anche un messaggio vivente, un esempio per l’Oriente teocratico e per l’Occidente laico a oltranza, come diceva San Giovanni Paolo II.
Le sfide
Si parla, così, di sfide, con un’avvertenza alla quale il Cardinale tiene moltissimo: «Non bisogna parlare, per il Medio Oriente, di “gruppi di cristiani”, ma di una Chiesa radicata e praticata da seicento anni prima dell’Islam. Esiste un sostrato cristiano nei musulmani del Medio Oriente che, per questo, sono in qualche modo diversi dagli altri, perché noi abbiamo trasmesso loro i nostri valori e nella nostra identità c’è qualcosa di loro. Così abbiamo creato una cultura e un’identità comune».
«Oggi in Libano c’è crisi – ha continuato -. Nel Paese vive ancora mezzo milione di profughi della guerra iniziata nel 1975. Vi sono impoverimento, crisi morale, lassismo, il contrasto tra sunniti e sciiti fa nascere un grande conflitto tra le fazioni che paralizza la vita economica e sociale, il Parlamento e il governo. Siamo senza presidente da un anno e sei mesi; ciononostante, c’è un risveglio nei giovani (interessante che vi sia una vivace pastorale universitaria) e delle vocazioni».
E la fiducia, nonostante tutto, non manca: «Con salda speranza sentiamo la necessità e l’urgenza dell’annuncio del Vangelo di Cristo nel nostro Medio Oriente, Vangelo del dialogo, della sacralità della vita umana, della dignità della persona. Il mondo musulmano ha bisogno più che mai della presenza cristiana, ma i cristiani del Medio Oriente sentono il grande bisogno di sentirsi sostenuti. Non siamo una minoranza, perché storicamente siamo in Libano da duemila anni, teologicamente siamo il Corpo mistico di Cristo, non siamo né un gruppo religioso né etnico. Vi prego di non dire mai “minoranza cristiana”, occorre usare la parola Chiesa. Noi siamo consci di essere nati in Medio Oriente e di essere una Chiesa che esiste per il mondo arabo. La testimonianza va vissuta nella vita comune dove siamo insieme quotidianamente: nella politica, nelle università, nei matrimoni misti. Millequattrocento anni di vita insieme significano che ci conosciamo a vicenda, sappiamo come vivere con i musulmani, come trattare con loro. È importante questo, perché le tragedie che si sono sviluppate in Iraq, in Siria devono insegnare qualcosa».
I profughi, l’accoglienza e il ruolo dell’Europa
Il pensiero non può che andare all’accoglienza e ai profughi: «In Libano, in uno Stato più piccolo della Sardegna, abbiamo due milioni di profughi su quattro milioni di abitanti. Consideriamo con attenzione l’accoglienza varata dall’Europa, per la quale si deve ringraziare; tuttavia abbiamo bisogno di sentire dall’Europa un grido perché cessi, a ogni costo, la guerra. Bisogna mettere fine all’espulsione dei cittadini dalle loro terre. Fate tornare, con soluzioni politiche, i profughi nei luoghi di origine, altrimenti il Medio Oriente si svuoterà dei cristiani e dei musulmani moderati e resteranno solo i fondamentalisti, a minacciare non solo il Medio Oriente, ma il mondo intero. L’Europa deve fare i suoi conti su come integrare i musulmani, sapendo che l’Islam non separa mai religione e Stato. Ricordate che i musulmani sono scandalizzati dalla mancanza di fede dell’Europa, quindi pensano di poter conquistare il vostro continente con la loro fede. Per loro, per esempio, il matrimonio è per volontà di Dio e per procreare e scandalizza che così non sia in Occidente. La maggioranza dei musulmani è moderata: noi vediamo l’Isis, i mercenari, Al Quaeda, ma questo non è l’Islam e dubito persino che siano musulmani. I moderati, tuttavia, tacciono perché non sono abituati a esprimersi, ma dobbiamo contare su di loro: è l’unica via di uscita».