L’hanno definito «il principe degli editori del Rinascimento». Un giudizio lusinghiero, ma per Aldo Manuzio probabilmente è ancora riduttivo. Perché Manuzio sta alla stampa come, in quegli stessi anni, Michelangelo sta alla scultura, Raffaello alla pittura, Bramante all’architettura. Con l’intuito geniale di un Leonardo da Vinci. E il senso pratico di un imprenditore di successo, che concepisce l’editoria come un progetto culturale capace di stare sul mercato…
Se Gutenberg, insomma, ha “inventato” la stampa, è Aldo Manuzio che l’ha fatta diventare un’arte, e un’attività, davvero moderna.
Il libro tascabile? L’ha ideato lui, con il formato in ottavo. Il best-seller? Un’altra sua “invenzione”, se si considera lo scegliere autori classici e diffondere copie in grande quantità. La punteggiatura? Altra intuizione di “Aldo Romano” (come si firmava, rivendicando le sue origini laziali e l’appartenenza alla civiltà antica), che introdusse l’uso del punto e virgola, dell’apostrofo e dell’accento grave, abolendo le abbreviazioni medievali. Senza dimenticare l’adozione di quel carattere corsivo che, ancor oggi, gli inglesi chiamano semplicemente Italic type.
Aldo Manuzio moriva nel 1515 a Venezia, dove aveva aperto la sua celebre tipografia, frequentata dai più illustri letterati e umanisti del tempo. Come Erasmo da Rotterdam, per non citare che un nome, che si “adattò” per mesi a fare da correttore di bozze, pur di vedere la sua opera, gli Adagia, pubblicata nelle edizioni aldine.
Quelle “aldine”, appunto, delle quali la Biblioteca Ambrosiana a Milano possiede la più completa collezione in Italia (fra le più consistenti al mondo), e che è oggetto di un progetto di studio e di valorizzazione che porterà alla revisione del catalogo online e all’allestimento di una mostra nella prossima primavera, aperta per tutto il periodo di Expo. Due importanti iniziative, insomma, per celebrare degnamente questo quinto centenario manuziano.
Dai torchi veneziani di Aldo, a partire dal 1494 fino alla sua morte, uscirono in tutto 124 edizioni. Un ventennio luminoso, seppur non privo di ombre. A una prima fase pionieristica, con la messa a punto dei nuovi caratteri di stampa e la scelta delle “strategie” editoriali, seguì il momento di massimo splendore della stamperia di Manuzio nei primissimi anni del XVI secolo, quando i suoi libri s’imposero per accuratezza, bellezza e innovazione in tutta Europa, venendo subito spudoratamente imitati e copiati (il segno più evidente del successo…). Poi avvenne un brusco arresto, come se l’editore-umanista si fosse reso conto di aver fatto il passo più lungo della gamba. Per ripartire, infine, attorno al 1510, con nuove pubblicazioni, ma anche con una politica commerciale più prudente e accorta.
Una storia avvincente, insomma, ben documentata proprio dai materiali di eccezionale valore conservati all’Ambrosiana. La biblioteca fondata dal cardinale Federico Borromeo, infatti, possiede ben 111 edizioni aldine, con un totale di 258 esemplari: ma sono numeri che potrebbero aumentare proprio a seguito delle indagini in corso perché, come ci spiega Angelo Colombo (responsabile del progetto, insieme a Marina Bonomelli), «l’Ambrosiana è come una “miniera” che non cessa di svelare i suoi tesori».
La biblioteca milanese, ad esempio, conserva il primo libro stampato da Aldo Manuzio, che reca la data 28 febbraio 1495: si tratta dell’Erotemata, ovvero una grammatica greca redatta dal grande filologo bizantino Costantino Lascaris, che fu tra i promotori della rinascita dello studio del greco in Italia. Una scelta che dice molto degli interessi del nostro editore, che giunse a Venezia, dopo essere stato precettore dei nipoti di Pico della Mirandola a Carpi, proprio per dedicarsi più approfonditamente allo studio dei classici greci.
Di Manuzio, l’Ambrosiana custodisce anche quello che è considerato il più bel libro illustrato del Rinascimento italiano, dato alle stampe nel 1499: l’Hypnerotomachia Poliphili (letteralmente “l’onirico combattimento amoroso di Polifilo”), un romanzo allegorico anonimo (ma variamente attribuito a diverse personalità del Quattrocento, da Lorenzo il Magnifico a Leon Battista Alberti, fino allo stesso Manuzio), arricchito da quasi duecento xilografie, vicine per stile al Mantegna.
E poi il De Aetna di Pietro Bembo (1495), nel bel carattere romano dall’aspetto chiaro e armonioso. Il Vaticinium di Girolamo Amaseo (1499), rarissima edizione sulla delicata alleanza fra la Serenissima e la Francia ai danni del ducato di Milano. O ancora il “Virgilio” del 1501, che segna l’inizio delle edizioni tascabili (cioè in ottavo), con volumi che finalmente si possono portare con sé e leggere ovunque (idea modernissima e rivoluzionaria: è la lettura come piacere, e non solo come studio). Ma anche testi in volgare come le “Epistole” di santa Caterina da Siena (1499), dove per la prima volta compare il famoso corsivo…
Libri che Aldo Manuzio marcherà ben presto con il suo inconfondibile emblema: un delfino che s’avvolge ad un’ancora. A esprimere due concetti opposti – la solidità dell’ancora, la velocità del delfino – che devono necessariamente integrarsi per un buon risultato: Come a dire: rifletti con calma, ma agisci rapidamente. Il motto, appunto, che ha segnato una straordinaria avventura, umana e culturale.