Nell’omelia del Pontificale che ha dato avvio al nuovo anno pastorale, il cardinale Scola ha richiamato il compito prezioso dell’educazione alla vita buona che «deve mobilitare tutti i fedeli e, in modo decisivo, i laici». Ne parliamo con Silvia Landra, presidente dell’Azione cattolica ambrosiana.
In che modo l’Azione cattolica intende rendere concreti i suggerimenti e le provocazioni della Nota pastorale La Comunità educante?
Vivendo innanzitutto quel richiamo all’«insieme» che più volte l’Arcivescovo suggerisce. L’Ac da sempre non si pone come “comunità a sé”, ma dentro la comunità cristiana. Ai più piccoli occorre trasmettere una fede testimoniale che dica l’esperienza credente e l’appartenenza alla Chiesa come forme di gioia incontenibile. Un contributo importante è la formazione degli adulti: la lectio nei Decanati, il servizio ai Gruppi di ascolto della Parola, l’itinerario per i fidanzati e le famiglie, il percorso formativo rivolto a tutti i cristiani adulti (spesso conosciuto e sviluppato anche da gruppi non espressamente associativi) sono strumenti e servizi che quest’anno saranno vissuti nell’attenzione particolare a riflettere sulla propria responsabilità educativa. Molti in Ac sono insegnanti, catechisti, animatori d’oratorio, educatori professionali. A partire dai diversi ruoli e servizi che esprimono, possono contribuire responsabilmente a realizzare questo volto della comunità che si prende cura dell’iniziazione cristiana con attenzione e competenza, in modo unitario e condiviso.
La formazione è quindi un fondamento importante, nella sua “dinamicità”…
Sì, perché maturi nei laici uno stile di partecipazione, di rispetto reciproco, di autentica capacità di lavorare insieme e di perseguire gli stessi obiettivi nella valorizzazione delle diversità. Questo è lo stile della comunità educante che ci viene richiamato. Penso poi alla questione radicale della fede che fonda la comunità educante e alla quale il Vescovo si riferisce in modo inequivocabile: «Gli adulti che formano la comunità educante non si incontrano solo per organizzare cosa fare con i ragazzi/e, ma per vivere in prima persona l’esperienza della fede e della comunione».C’è in gioco la possibilità di essere adulti che vivono un’interiorità ricca, una vera unità di vita, una felicità possibile e non la frammentazione e la vita “a compartimenti stagni” che anche il Cardinale richiama nella nota come esperienza dolorosa del nostro tempo. Adulti felici di vivere e di credere sono prerogativa per la crescita di ragazzi altrettanto forti che si preparano a scelte importanti.
A volte i giovani sono visti come “il problema”, o peggio come dei soggetti “esterni” da educare…
Come Ac vorremmo contribuire a essere una comunità e anche una società civile che guarda ai giovani con una speranza non troppo retorica: parlare meno dei giovani come problema e parlare di più con loro, condividendo con loro, gli adolescenti e i ragazzi, l’esperienza della vita comunitaria, della fede e del servizio. Puntiamo sul dialogo intergenerazionale e sulla cura al suo interno con momenti unitari, coinvolgendo insieme adulti e giovani. I ragazzi si educano a essere protagonisti e ad avvertire che molto può cambiare anche grazie a loro.
L’Arcivescovo, riflettendo sulla situazione della società civile, ha invitato i laici a «trovare, suggerire spazi e possibilità di riflessione e di impegno»…
Tra gli spazi, voglio sottolineare in particolare la proficua collaborazione con l’Ufficio catechistico della Diocesi nell’elaborare la proposta formativa per i catechisti. Siamo chiamati a co-progettare momenti residenziali di spiritualità rivolti proprio ai catechisti dell’iniziazione cristiana.