Quando l’impaurita Kathy si volta indietro, in sella alla moto di Benny, l’affascinante ragazzo che ha appena conosciuto, vede delle luci nella notte. Sono i fari del resto del gruppo di motociclisti che sfrecciano con loro nella notte. Illuminando così il Midwest americano nella metà degli anni ’60. «In quel momento ho visto realmente per la prima volta quegli uomini» dirà la donna al suo intervistatore.
È questa la scena migliore del nuovo film di Jeff Nichols, The Bikeriders. Un’opera a metà tra un western, in cui i cavalli sono le moto, e Il padrino, dove il potente Johnny (interpretato da Tom Hardy) si muove come un don Vito Corleone del “clan” dei motociclisti.
Siamo nel territorio di Easy Rider, ma se il capolavoro di Dennis Hopper mirava a ribaltare l’immaginario del ’69, poco clemente verso il popolo della strada, The Bikeriders si interessa più al canto nostalgico di un’epoca tramontata: gli anni d’oro dei biker.
I suoi personaggi nella prima ora assumono pose da film. Benny, il personaggio interpretato da Austin Butler, resta ventiquattro ore di fronte alla casa della ragazza che gli piace e non si scompone; c’è un mito da rispettare! La loro vita è un’alternativa al sogno americano. La libertà data dalla motocicletta, dalla giacca, dalle birre e dalle sigarette, è l’emancipazione anche dal bisogno di avere successo e autoaffermarsi.
La comunità che si costituisce è una piccola nazione fatta di gente comune, persone scartate (non li vogliono neppure al fronte). Il film è tratto dal libro fotografico di Danny Lyon, che qui compare anche come personaggio. Le sue interviste sono la cornice di un film che comincia in tono maggiore, con molta ironia, e termina in minore seguendo coerentemente la traiettoria della storia.
Il tema centrale di The Bikeriders è il tramonto di una comunità che è stata la casa di tante persone. Dal mito fino all’impatto con la realtà, dove le nuove generazioni hanno preso dai biker solo l’apparenza, non gli ideali. Jeff Nichols non riesce a commuovere come vorrebbe, non azzecca tutti i comprimari (le figure femminili sono deboli), ma ha successo nel dimostrare la sua tesi: per tirare fuori ciò che si è veramente, aiuta a volte sentirsi appartenenti a un immaginario.
La strada è una forza che trasforma, ma solo se percorsa insieme ad altri compagni di viaggio.