Uno spazio rinchiuso e ben circoscritto, due donne una di fronte all’altra, corpo a corpo, una battaglia tutta da combattere. Non è un racconto di guerra, ma di lotta sì. Quella che Zar Amir (iraniana) e Guy Nattiv (israeliano) portano sullo schermo con “Tatami”, il film rivelazione presentato nella sezione Orizzonti della scorsa Mostra del Cinema di Venezia.
Una co-direzione per questo loro lungometraggio che narra la storia della campionessa Leila (Arienne Mandi) e della sua allenatrice Maryam (la stessa regista) durante i mondiali di judo in Georgia. Una gara apparentemente sportiva (rappresentata in ogni minimo dettaglio), che raccoglie orizzonti ben più complessi e conflitti che si svolgono su altri orizzonti, quando Leila deve affrontare la collega israeliana e il regime islamico tenta di bloccare l’incontro, fingendo un infortunio.
Un’imposizione che diventa principio di rivoluzione quando viene non solo minacciata la propria professionalità e integrità, ma soprattutto la libertà. Da un governo che oltre a imporre, schiaccia soprattutto l’umanità di un popolo e delle sue donne (come del resto la scelta del bianco e nero, paradossalmente, sa mettere ben in luce).
Che il film sia tratto da una storia vera o meno, poco importa, perché esso raccoglie tanti racconti di vita di atleti e artisti che sono fuggiti dal loro Paese pur di non rinunciare ai loro sogni. Una triste denuncia, ma con un monito di speranza racchiuso nelle parole degli stessi registi: «Gli artisti israeliani e iraniani hanno trovato i loro fratelli e sorelle incontrandosi nell’arte e hanno scoperto di essere in realtà molto vicini e di avere tantissime cose in comune, condividendo l’arte stessa, l’estetica, il cinema… In definitiva, speriamo di aver fatto un film che mostri al mondo che l’umanità e la fratellanza vincono sempre».
Già solo per questo sarebbe da vedere. Ne abbiamo, oggi, tutti bisogno.