In questo spazio, ogni settimana cerchiamo di proporre un film arrivato in sala che stimoli domande sul presente. Troviamo opere contemporanee, di prima visione, fatte dai registi di oggi. Questa volta dobbiamo capitolare: è tornato infatti in sala Sbatti il mostro in prima pagina, di Marco Bellocchio, ed è di gran lunga il film più interessante che si può (deve) vedere sul grande schermo in questi giorni.
Uscito nel 1972, sembra scritto oggi. Un racconto dal forte stampo polemico che il regista stesso ammise, un decennio dopo, essere troppo semplicistico e populista. Non aveva tutti i torti all’epoca, ma oggi si sbaglia di grosso! Ed è proprio questo che lo rende incredibile.
Al centro c’è un giornale, “Il Giornale” (ancora prima che il quotidiano con lo stesso nome esistesse) fortemente politicizzato. Si inventano un mostro, un attivista accusato di avere stuprato e ucciso una giovane, e lo sbattono in prima pagina per minare le fondamenta della controparte politica avendo come gradito effetto collaterale quello di vendere moltissime copie.
La sceneggiatura ha l’urgenza di dire, di allarmare, di denunciare la decadenza sia del dibattito politico che dell’integrità giornalistica. I bei film, generalmente, dovrebbero essere altrove. Si trovano nelle sfumature, più che nelle affermazioni perentorie. Il problema, e quindi il bello di questa operazione, è che la lente grottesca e quasi mefistofelica con cui ha raccontato il quarto potere italiano, è stata profetico.
Sbatti il mostro in prima pagina era uno di quei rari film destinati a invecchiare benissimo, ma ancora Bellocchio non lo sapeva. Non ci siamo allontanati molto dallo sguardo sprezzante del Bizanti di Gian Maria Volonté, anzi sembra essersi diffuso un po’ ovunque, anche nel pubblico stesso. È una prospettiva di chi vuole manipolare la realtà che ha intorno. Di chi gioca con la psicologia del lettore. Di chi si chiede “a che serve questa notizia? Come può giovarmi?” prima di darla.
Se si dovesse fare un remake, oggi, si dovrebbe cambiare solo una cosa al film: il redattore capo che piega l’opinione pubblica distorcendo la realtà con la retorica non avrebbe le sembianze di Volonté, bensì quelle di un social network o un programma di intelligenza artificiale. Da qui la domanda attuale: c’è ancora speranza per la verità?