Chi non potrà mai vincere, perché non ne ha le capacità, può trionfare lo stesso a modo suo. Deve però smettere di sognare di elevarsi sopra gli altri per vendetta, e imparare a perdere da campione: insieme ai compagni con gioia, orgoglio e divertimento. È questo l’assunto sovversivo alla base di Chi segna vince.
Il regista Taika Waititi è d’altronde un esperto nel prendere i canoni dei generi e ribaltarli. Ha adattato Thor, il duro dio norreno e supereroe Marvel, rendendolo fragilissimo. Ha raccontato l’inesauribile e attualissimo orrore della Shoah nel suo miglior film, JoJo Rabbit, dal punto di vista di un bambino indottrinato dalla gioventù nazista. Qui prende il più classico dei film sportivi e lo trasforma in un elogio degli ultimi.
La storia è vera, ma Chi segna vince fa di tutto per non farla sembrare tale, punteggiando il suo andamento con umorismo (non per tutti) e personaggi caricaturali. L’irascibile allenatore Thomas Rongen (Michael Fassbender) è stato “esiliato” ad allenare la nazionale di calcio delle Samoa americane. La squadra è reduce da una delle più grandi umiliazioni nella storia dello sport: la sconfitta per 31 a 0 contro l’Australia. Il suo compito, nel film e nella realtà, è rimettere ordine e provare a ottenere un risultato minimo: non una vittoria, bensì un gol. Quello che non sono mai riusciti a fare.
Il film sembra appartenere agli anni ’90 per lo sguardo leggero, solare e divertito con cui si guarda allo sport. L’atmosfera è simile a Quattro sottozero, ormai un classico del cinema per famiglie. Osservando lo stato delle attività agonistiche in Italia, e in tutto il mondo, assimilare un messaggio semplice come quello di Chi segna vince diventa quasi un obbligo per chi si occupa di calcio. Quello vero, si intenda. Non lo show portato avanti da interessi economici, bensì quello che si svolge nei campetti e nelle strade. Una partita, ci dice il film, può essere un momento fondamentale per un paese intero. Il tifo (quello bello), l’impegno e la dedizione, possono cambiare le persone facendo capire che nella vita non esistono perdenti. Tutti siamo giocatori e la nostra performance non sarà valutata per quanti gol abbiamo fatto, ma da quanto di noi abbiamo messo in ogni calcio.