Siamo immersi così tanto nel dolore che l’unico modo per sopportarlo è anestetizzarsi. Le tragedie diventano numeri asettici, la storia si riempie di fatti da ricordare, ma spesso slegati dalla singolarità delle vite di coloro che l’hanno fatta. Persino i tour sui luoghi dell’Olocausto possono essere materia per turisti.
Riflette su questo A Real Pain, una commedia diretta dall’attore Jesse Eisenberg e candidato al premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale e Miglior attore non protagonista a Kieran Culkin (fratello minore del ben più celebre Macaulay Culkin di Mamma ho perso l’aereo).
La trama
David è sposato, è un buon padre, è serio e impacciato. Suo cugino Benji è il suo opposto: una persona piena di energia e di dolore. Questa “reazione chimica” lo rende emotivamente instabile. Un agitatore che rompe le convenzioni, sia quelle sociali che nei modi di pensare.
I due partono per la Polonia, dopo la morte della loro nonna Dory, alla scoperta della sua infanzia durante l’Olocausto. Un viaggio nel dolore: quello del passato, che si articola in un viaggio di gruppo accompagnato da una guida turistica e in quello personale che solo i due possono risolversi.
Il senso del film raggiunto nel silenzio
Un tema importante che non impedisce al film di essere però una commedia che si giova di una sceneggiatura molto ritmata e godibile. Forse un po’ troppo. Nella prima parte si avverte infatti eccessiva l’intenzione di conquistare il pubblico attraverso situazioni di cui sorridere e personaggi strampalati. A Real Pain piacerà per questo, eppure la sua parte migliore si trova più in là.
Quando i brillanti dialoghi smettono. Quando gli attori rinunciano a mostrare i personaggi e vi entrano finalmente dentro. Nel momento dell’incontro con i campi di concentramento il film si rinchiude nel silenzio e lì raggiunge il suo senso.
Benji, insofferente, chiede alla guida qualcosa di vero, di autentico, di sentito. Di provare cioè il dolore in tutta la sua pienezza. Senza filtri, senza razionalità. Affrontarlo, per poi andare avanti portandolo con sé.
È nell’inquadratura finale che A Real Pain aggiunge la domanda che gli mancava, in uno sguardo fuori campo c’è tutto quello che la sceneggiatura ha provato a dire con troppe parole.