Il teatro racconta la vita. Penso sia questa una delle tesi più ricorrenti, così reale e così vicina all’uomo d’oggi e, credo modestamente, d’ogni tempo. Il teatro, che vicendevolmente con il suo mondo entra nella nostra esistenza e che raccoglie le storie di ciascuno per riproporle poi alla riflessione di un pubblico più vasto, ha in sé qualcosa di misterioso, che ci affascina e ci coinvolge. Ci interpella, il teatro, perché parla di noi, della nostra realtà, dei nostri sentimenti, delle stesse emozioni, del nostro gioire e soffrire.
Il teatro, quindi, ha il potere non solo di “rappresentare” la vita, ma di “ripresentarla” all’attore-spettatore, in modo che confrontandosi con quanto viene messo in scena non solo suscita il riso o il pianto, la commozione o il semplice diletto, ma dà la possibilità di rivedersi “sul palco” per riappropriarsi di quella immagine di uomo, che tante volte ci sfugge nelle pieghe confuse della storia. Il teatro, allora, non diventa solo una possibilità, ma un’occasione opportuna che rispecchia quella vocazione antica e originaria di raccontare “lo spettacolo della vita”.
A riguardo della morte di Gesù Luca narra nel suo Vangelo quanto segue: “… la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto» (Lc 23, 48). C’è tutta una drammaturgia nel brano evangelico della crocifissione che richiama esattamente la forma dello “spettacolo”. Ma che tipo di spettacolo? Uno spettacolo d’amore: Cristo ci ha amato così tanto da dare la sua vita per noi. C’è un interessante gioco di termini nel testo greco: per la parola “spettacolo” si usa il vocabolo theōría(n) e per indicare coloro che ripensano a quanto è avvenuto Luca utilizza il participio theōrḗsantes. I due termini, dunque, hanno in comune la stessa radice. Che significa ciò? Che lo spettacolo se è tale e di valore “entra dentro” la nostra esistenza e la interroga, penetra l’intelligenza e il cuore di ciascuno, poiché ci “riguarda” più di quanto possiamo immaginare. Non vi si può, quindi, restare indifferenti, così come non rimase del tutto estranea la folla al vedere lo strazio crudele del Crocifisso.
In questo, per me, sta tutto il valore di un servizio e di un amore per il teatro. Una vocazione, quella del Gatal, da promuovere ancora e a lungo soprattutto per le giovani generazioni che nel teatro forse rischiano di vedere solo la “finzione” senza accorgersi del potere straordinario di evocare la vita stessa. Non per niente un grande maestro come Giorgio Strehler diceva: «… io so e non so perché lo faccio, il teatro, ma so che devo farlo, che devo e voglio farlo facendo entrare nel teatro tutto me stesso, uomo politico e no, civile e no, ideologo, poeta, musicista, attore, pagliaccio, amante, critico, me insomma, con quello che sono e penso di essere e quello che penso e credo sia vita. Poco so, ma quel poco lo dico…». Un compito e una missione da portare avanti per chi è ancora appassionato a “mettere in atto” lo spettacolo della vita.
gbernardini@diocesi.milano.it Il teatro racconta la vita. Penso sia questa una delle tesi più ricorrenti, così reale e così vicina all’uomo d’oggi e, credo modestamente, d’ogni tempo. Il teatro, che vicendevolmente con il suo mondo entra nella nostra esistenza e che raccoglie le storie di ciascuno per riproporle poi alla riflessione di un pubblico più vasto, ha in sé qualcosa di misterioso, che ci affascina e ci coinvolge. Ci interpella, il teatro, perché parla di noi, della nostra realtà, dei nostri sentimenti, delle stesse emozioni, del nostro gioire e soffrire.Il teatro, quindi, ha il potere non solo di “rappresentare” la vita, ma di “ripresentarla” all’attore-spettatore, in modo che confrontandosi con quanto viene messo in scena non solo suscita il riso o il pianto, la commozione o il semplice diletto, ma dà la possibilità di rivedersi “sul palco” per riappropriarsi di quella immagine di uomo, che tante volte ci sfugge nelle pieghe confuse della storia. Il teatro, allora, non diventa solo una possibilità, ma un’occasione opportuna che rispecchia quella vocazione antica e originaria di raccontare “lo spettacolo della vita”.A riguardo della morte di Gesù Luca narra nel suo Vangelo quanto segue: “… la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto» (Lc 23, 48). C’è tutta una drammaturgia nel brano evangelico della crocifissione che richiama esattamente la forma dello “spettacolo”. Ma che tipo di spettacolo? Uno spettacolo d’amore: Cristo ci ha amato così tanto da dare la sua vita per noi. C’è un interessante gioco di termini nel testo greco: per la parola “spettacolo” si usa il vocabolo theōría(n) e per indicare coloro che ripensano a quanto è avvenuto Luca utilizza il participio theōrḗsantes. I due termini, dunque, hanno in comune la stessa radice. Che significa ciò? Che lo spettacolo se è tale e di valore “entra dentro” la nostra esistenza e la interroga, penetra l’intelligenza e il cuore di ciascuno, poiché ci “riguarda” più di quanto possiamo immaginare. Non vi si può, quindi, restare indifferenti, così come non rimase del tutto estranea la folla al vedere lo strazio crudele del Crocifisso.In questo, per me, sta tutto il valore di un servizio e di un amore per il teatro. Una vocazione, quella del Gatal, da promuovere ancora e a lungo soprattutto per le giovani generazioni che nel teatro forse rischiano di vedere solo la “finzione” senza accorgersi del potere straordinario di evocare la vita stessa. Non per niente un grande maestro come Giorgio Strehler diceva: «… io so e non so perché lo faccio, il teatro, ma so che devo farlo, che devo e voglio farlo facendo entrare nel teatro tutto me stesso, uomo politico e no, civile e no, ideologo, poeta, musicista, attore, pagliaccio, amante, critico, me insomma, con quello che sono e penso di essere e quello che penso e credo sia vita. Poco so, ma quel poco lo dico…». Un compito e una missione da portare avanti per chi è ancora appassionato a “mettere in atto” lo spettacolo della vita.gbernardini@diocesi.milano.it Sul palcoscenico – 28 marzo (h 21), Teatro Centro don Virginio Pedretti (via Molino Arese 15, Cesano Maderno): Pover Crist in Paradis (tratto da Teresa degli spiriti di Felice Musazzi), Compagnia La Martesana 2 di Cernusco sul Naviglio;28 marzo (h 21), Auditorium Fagnana (Buccinasco): Sì, così, così! (di Mario Pozzoli), Compagnia Gli Adulti di Buccinasco;28 marzo (h 21), Teatro Martino Ciceri (viale Segantini, Veduggio): Amilcare Ricotti, Capocomico (di Alfredo Balducci), Compagnia Scaenici ’74 di Busnago;28 marzo (h 20.45), Teatro Silvestrianum (via A. Maffei 29, Milano): Al Dio Ignoto (di Diego Fabbri), Compagnia Amici della Prosa di Milano;28 marzo (h 21), Teatro dell’Oratorio (Piazza Davi, Cadrezzate): Acqua passata non macina più (di Alfredo Testoni), Compagnia Teatrale Varesina “A. Orimbelli”;28 marzo (h 21), Cine-Teatro Zenit (via S. Pellico 19, Muggiò): Stori de cà nostra (di Roberto Zago), Compagnia I Catanaij di Senago;28 marzo (h 21), Cine-Teatro S. Giovanni Bosco (via XX Settembre 11, Cirimido): Che bel gener… l’era el me gener (da La cà di lacrim di G. Bertini nell’adattamento di Marzio Omati), Compagnia Sanvittorese di Sanvittore Olona. –