17/04/2008
di Ylenia SPINELLI
Da Frollo, il prete cattivo di Notre Dame de Paris di Riccardo Cocciante, a Dracula, il protagonista dell’opera rock della Premiata Forneria Marconi, fino al Dante della Divina Commedia. Questa volta a Vittorio Matteucci, livornese, classe 1963, una lunga esperienza teatrale alle spalle, tocca cimentarsi nel ruolo più entusiasmante, ma anche più difficile della sua vita: quello del Sommo Poeta.
Da Dracula a Dante il passo è stato lungo?
Molto, direi, anche se i due personaggi hanno diversi punti di contatto: Dracula si accorge che l’amore è la chiave di tutto, Dante lo ha sempre saputo. Affronto questo nuovo ruolo con umiltà e molta partecipazione, anche perché sono toscano e “vivo” Dante sin da piccolo.
Perché lo considera un ruolo difficile?
Restituire a Dante tutti i piani narrativi non è semplice. È il prototipo dell’uomo comune, con le sue contraddizioni e i suoi vizi, ma allo stesso tempo è anche l’autore dell’opera, uno dei più grandi poeti al mondo. Tuttavia sono particolarità che rendono il personaggio interessante per un attore, che deve farsi ripetitore di emozioni. Per questo motivo sono quasi sempre di spalle e con il pubblico osservo ciò che accade sulla scena. È lì che si compie il miracolo del teatro.
Come rende il passaggio dall’Inferno al Paradiso?
La musica aiuta tantissimo. All’Inferno è forte e ossessiva, poi man mano si fa più eterea attraverso il canto gregoriano, che dà l’idea della preghiera, fino alle sinfonie gioiose del Paradiso. Basta seguire questa traccia.
Qual è per lei il momento emotivamente più forte?
Al centro dell’Inferno, quando Dante incontra il conte Ugolino e vive il suo dramma, e poi quando incontra Lucifero, perché lì davvero crede di essere vicino alla fine. Il momento più emozionante è invece quando Dante saluta Virgilio, la sua guida.
Perché il messaggio della Commedia è sempre attuale?
L’idea di mettere l’amore al centro di ogni cosa in questo momento dove l’amore latita – perché basta guardare come va la società – non può che essere attuale. È un messaggio trasversale, non solo religioso, non solo cattolico, dunque universale.