Una personalità musicale «mai banale, via via costruita grazie alle frequenti incursioni in altre forme artistiche – prima tra tutte la pittura, ma anche cinema e teatro – e grazie all’apertura a innumerevoli suggestioni». Così L’Osservatore Romano ricorda David Bowie, l’artista britannico morto il 10 gennaio a 69 anni dopo 18 mesi di malattia.
«Cinque decenni di musica rock attraversati con un rigore artistico che può sembrare in contraddizione con l’immagine ambigua utilizzata, soprattutto a inizio carriera, per attirare l’attenzione dei media – si legge nel quotidiano della Santa Sede -. Si potrebbe anzi affermare che, al di là degli eccessi apparenti, l’eredità di David Bowie è racchiusa proprio in una sorta di personalissima sobrietà, espressa finanche nel fisico asciutto, quasi filiforme».
«Partito dal beat inglese della metà degli anni Sessanta, Bowie, nei suoi venticinque dischi (l’ultimo dei quali, Blackstar, pubblicato solo alcuni giorni fa) ha spaziato dal soul al R&B, dal folk al glam rock. Realizzando anche alcune vere perle, come Heroes, un semplice inno rock dedicato ai ragazzi della Berlino ancora separata dal Muro. E riuscendo a suscitare un consenso crescente nel corso degli anni». In un’intervista alla Bbc, conclude L’Osservatore Romano, «anche il primate anglicano, Justin Welby, ha oggi ricordato come la musica di Bowie abbia costituito una sorta di colonna sonora personale».