«Ovunque ci sia una società umana, l’insopprimibile Spirito della Performance si manifesta». Inizia così il messaggio del drammaturgo sudafricano Brett Bailey per la Giornata mondiale del teatro, che si celebra in tutto il mondo il 27 marzo. Una tensione a esprimere la complessità umana attraverso gli effimeri mondi del teatro che forse si manifesta ancora più forte in chi, in carcere, sconta in modo sostanziale una limitazione della propria libertà.
Per questo domani, 27 marzo, il teatro entrerà nei penitenziari di tutta Italia, nella prima Giornata nazionale di Teatro e Carcere. A dare corpo per un giorno alla realtà del palcoscenico saranno gli stessi detenuti di oltre trenta carceri italiane, dove già da anni, in più di cento istituti di pena, si vive l’esperienza del teatro. A seguire le performance ci saranno gli stessi detenuti ma anche, in alcuni casi, ospiti esterni, per abbattere le barriere tra dentro e fuori che sempre caratterizzano il mondo del carcere.
Sarà così anche nella casa circondariale di San Vittore di Milano, dove la giornata prevede un doppio appuntamento. Alle 9,30 risuoneranno i versi di Shakespeare insieme ai testi di Dario Fo e alle note di Jannacci, Gaber e Celentano in una mattinata di teatro canzone. Il pomeriggio, alle 16, le ospiti della sezione femminile daranno vita alla performance “Per le donne”, dedicata alla vita e all’opera di Alda Merini. Uno spettacolo, questo, che riceve il titolo da un aforisma della poetessa milanese dedicato proprio alle detenute di San Vittore – “per le donne ci sono fiori bellissimi che vivono avvinghiati ad una sbarra” – e al quale domani sono invitati proprio i figli e gli amici della Merini. «Un’anteprima alla quale seguiranno nei prossimi mesi repliche anche all’esterno del carcere, probabilmente alla Casa delle donne di Milano», spiega la regista Donatella Massimilla.
Lavori resi possibili dal Centro europeo di teatro e carcere animato da diversi anni da Donatella Massimilla, e dai laboratori di scrittura creativa attivati sempre a San Vittore dai colleghi Roberto Carusi e Stefania Vitulli. «Attraverso la felicità di creare una nostra nuova storia, la possibilità di rendere visibili desideri spesso invisibili, sogniamo di poter uscire fuori, di poter guardare fuori le grate della nostra prigione, di essere nuovamente interpreti e protagonisti delle nostre storie – commentano le detenute – per ritrovare, complice il teatro e la finzione, una nuova catarsi, una nuova liberazione».