Un supporto indispensabile per consentire di praticare lo sport di base nelle opportune condizioni di sicurezza e garanzia per la salute. È il corso – aperto a tutti, ma rivolto in particolare ad allenatori, educatori e animatori, in programma in autunno (i dettagli nel box a sinistra) – promosso a Milano dalla Fondazione Oratori Milanesi e dal Comitato provinciale del Centro Sportivo Italiano, su proposta della Croce Bianca e delle Misericordie e in collaborazione col 118 locale, con due finalità: diffondere la cultura dell’emergenza cardiologica tra le società sportive oratoriane e creare i presupposti per attuare rapidamente le manovre di rianimazione cardiopolmonare e la defibrillazione precoce.
Era il 14 aprile 2012, allo Stadio Adriatico di Pescara si giocava la partita di serie B tra i padroni di casa e il Livorno. Improvvisamente il centrocampista dei toscani Piermario Morosini si accasciò a terra in seguito a una crisi cardiaca: a nulla valse l’immediato ricovero in ospedale. Cardiomiopatia aritmogena, decretò la perizia medica. Ma si stabilì anche che, se i medici avessero utilizzato un defibrillatore (che non c’era), Morosini avrebbe potuto salvarsi. La morte di un calciatore professionista in simili circostanze portò alla luce un problema fin lì ignorato e sottovalutato, con un corredo di cifre illuminanti: 3 atleti su 10 colpiti da arresto cardiocircolatorio (calcio, calcetto, atletica e ciclismo gli sport più “a rischio”) possono salvarsi se soccorsi entro pochi minuti con le tecniche di rianimazione e l’uso del defibrillatore.
Il caso-Morosini spinse a correre ai ripari, in primo luogo dal punto di vista legislativo. «In Italia, fin dal 2001, esisteva una normativa che prevede l’utilizzo del defibrillatore anche da parte di personale non medico – spiega Sergio Ripa, già consigliere della Confederazione Nazionale Misericordie d’Italia, tra gli artefici del corso milanese -. Mancavano però i decreti attuativi, che dovevano definire in concreto le persone preposte a questi interventi e la formazione a cui avrebbero dovuto sottostare. Una “lacuna” colmata nel 2011, dopodiché nel 2013 Regione Lombardia ha fatto sue queste normative. Adesso si sta provvedendo alla diffusione dei defibrillatori sul territorio».
L’apparecchio in questione, mediamente, costa attorno ai 1300, 1500 euro. Oggi – parlando di calcio – ogni squadra di Prima e Seconda Divisione ne è dotata, così come le società di serie D (è la stessa Lega Dilettanti a inviarlo a quelle sprovviste). Nello sport di base, come quello d’oratorio, l’obbligo ricade sul presidente della società sportiva, anche perché il Csi (istituzione di riferimento di questo mondo) affilia oltre 13 mila sodalizi e non potrebbe provvedere autonomamente. Ma com’è la situazione? «Allo stato non si può negare una relativa arretratezza – ammette Ripa -. In parte per i costi da sostenere, che a volte rappresentano un ostacolo insormontabile; in parte per la necessità di formare all’utilizzo un numero adeguato di persone. Col vantaggio, però, rappresentato dalla maggiore sensibilità e predisposizione all’aiuto all’altro che in genere anima le persone attive negli ambienti oratoriani».
L’utilizzo del defibrillatore è abbastanza semplice: nel caso di un malore in seguito al quale una persona perde conoscenza, basta applicare un elettrodo sotto l’ascella sinistra e l’altro sul pettorale destro; in questo modo l’apparecchio effettua la diagnosi, comunicando se chi interviene deve applicare o meno la scarica. Per acquisire dimestichezza e imparare a intervenire con efficacia in caso di necessità è sufficiente un corso di 5-6 ore, come quello attuato a Milano. Precisa Ripa: «Da una riflessione congiunta con i responsabili del 118 è emersa la convinzione che la collaborazione tra il soggetto istituzionale e il volontariato preposto al primo soccorso, come le Misericordie, poteva alleviare gli oratori dei costi di formazione. Così è nata l’idea di un corso gratuito e aperto a tutti».
Accolta con favore da Fom e Csi, la proposta è sfociata nell’organizzazione di una prima sessione primaverile, che ha portato all’abilitazione di circa 150 persone. «Un’esperienza molto positiva per l’interesse e l’entusiasmo riscontrato nei partecipanti – rileva Ripa -. Inizialmente si sono accostati alla materia con un certo timore, perché ovviamente ci si augura di non dover mai ricorrere a “pratiche” di questo tipo. Ma l’evoluzione della medicina ha reso le tecniche di rianimazione intuitive e molto facili da applicare da parte di persone debitamente formate. L’esito finale è stato del tutto soddisfacente e col prossimo corso puntiamo a replicarlo».
La partita perfetta
«Alle 11.15 di un giorno estivo la Sala operativa 118 a Niguarda è tranquilla. Medici, infermieri e operatori lavorano serenamente, mentre di solito a quell’ora oltre 100 ambulanze sfrecciano per soccorrere altrettanti pazienti. Poi, improvvisa, una chiamata – racconta il dottor Giovanni Sesana, responsabile della Centrale 118 a Niguarda Ca’ Granda – A.R.E.U. -. Al telefono una donna agitata chiede aiuto per il marito sessantenne, improvvisamente dolorante al torace. L’operatore invia l’ambulanza, l’infermiere resta al telefono con la donna. Il dolore si fa sempre più acuto, il paziente fatica a respirare. Perde coscienza. Il suo cuore si è fermato, è in arresto cardiocircolatorio. L’infermiere al telefono chiede alla moglie di rianimarlo. Lei non l’ha mai fatto, ma si lascia istruire: sdraia il marito supino e inizia a comprimergli vigorosamente il torace, al centro dello sterno».
«La donna si trova dentro una Fiera dove è stato fatto un progetto di defibrillazione territoriale: sono stati posti dei defibrillatori e svolti corsi al personale della sicurezza per il loro utilizzo – continua il racconto -. Viene allertato il sistema interno di soccorso: un addetto prende il defibrillatore e accorre sul posto. Mentre l’ambulanza è in arrivo, l’addetto accende il defibrillatore, posiziona le piastre ed eroga una scarica. Poi riprende il massaggio. Altra analisi, altra scarica. Il paziente accenna a respirare. Arrivano ambulanza e automedica. Il cuore riprende a battere, il respiro è regolare e il paziente accenna a risvegliarsi. Il medico gli somministra farmaci, lo addormenta e lo intuba per iniziare il trattamento dell’infarto. Si corre in ospedale, dove un cardiologo è pronto all’intervento: in poche decine di minuti un’arteria principale, che si era chiusa, è di nuovo pervia. Alle 14 il paziente esce dalla sala: di lì a poco verrà svegliato. Alle 17 è sveglio, il cuore funziona bene, la coscienza è assolutamente normale. Fra qualche giorno verrà dimesso e la sua vita continuerà come prima».
Conclude il dottor Sesana: «Chiamo la moglie e la ringrazio: la sua immediata rianimazione cardiopolmonare è stata fondamentale. Chiamo il responsabile della sicurezza del luogo dove è avvenuto il malore: gli dico che il paziente sta bene e che hanno agito in modo splendido. Scrivo anche al personale dell’ambulanza, dell’automedica e della Sala Operativa 118. Non sempre finisce così, purtroppo. Però, quando tutti sono così bravi e si gioca così bene, bisogna essere orgogliosi. Oggi ha vinto la vita. Partita perfetta!».