Negli ultimi giorni sono accaduti fatti negativi che hanno riguardato da vicino il mondo dello sport. Mi riferisco all’attentato avvenuto in Afghanistan durante una partita di pallavolo che ha provocato un centinaio di morti, all’aggressione armata alla nazionale di calcio del Togo (in Angola per la Coppa d’Africa), ai cori razzisti innalzati dagli spalti dei nostri stadi, alle violenze nei confronti di giocatori e dirigenti.
A tal proposito, desidero condividere con voi alcune riflessioni a partire da una convinzione iniziale: per combattere il fenomeno del “razzismo” oggi, la repressione non basta. Per ottenere risultati efficaci occorre la prevenzione. In altre parole, le sole misure repressive non sono sufficienti se non vengono affiancate da misure di carattere preventivo ed educativo.
Qualsiasi realtà che fa dello sport uno strumento di educazione e di attenzione alla persona può e deve fare molto per prevenire atteggiamenti razzisti. Lo può fare, innanzitutto, facendosi promotrice di iniziative che coinvolgano le comunità di immigrati locali, promuovendo attività nelle scuole per sensibilizzare i più piccoli su queste tematiche, stimolando la partecipazione attiva dei club e delle federazioni.
Il calcio, e lo sport più in generale, viene considerato uno strumento che supera le barriere per il suo linguaggio non verbale, per la semplicità del gioco e la passione che riesce a suscitare. Tuttavia lo sport vive le contraddizioni presenti nelle nostra società e, finché non si genererà un cambiamento radicale nel modo di pensare, finché le diversità verranno considerate una barriera e non una ricchezza, gli episodi di razzismo saranno sempre presenti.
Occorre puntare sull’educazione e sulla sensibilizzazione, dare voce alle attività di cui sono promotori gli stessi tifosi, non solo puntando l’indice accusatore verso le frange più razziste. Solo in questo modo sarà possibile costruire una società multiculturale e rispettosa dei diversi stili di vita e culture. La discriminazione nasce dalla non conoscenza, dalla paura del diverso. È necessario, dunque, impegnarsi per individuare punti di incontro e confronto, di scambio e di conoscenza reciproca.
Le soluzioni indicate fino a oggi e quelle proposte di recente non risolveranno il problema che necessariamente deve passare da un processo di educazione al rispetto. Noi tutti ci stiamo provando e continueremo a farlo chiedendo un rinnovato impegno da parte dei grandi club. Negli ultimi giorni sono accaduti fatti negativi che hanno riguardato da vicino il mondo dello sport. Mi riferisco all’attentato avvenuto in Afghanistan durante una partita di pallavolo che ha provocato un centinaio di morti, all’aggressione armata alla nazionale di calcio del Togo (in Angola per la Coppa d’Africa), ai cori razzisti innalzati dagli spalti dei nostri stadi, alle violenze nei confronti di giocatori e dirigenti.A tal proposito, desidero condividere con voi alcune riflessioni a partire da una convinzione iniziale: per combattere il fenomeno del “razzismo” oggi, la repressione non basta. Per ottenere risultati efficaci occorre la prevenzione. In altre parole, le sole misure repressive non sono sufficienti se non vengono affiancate da misure di carattere preventivo ed educativo.Qualsiasi realtà che fa dello sport uno strumento di educazione e di attenzione alla persona può e deve fare molto per prevenire atteggiamenti razzisti. Lo può fare, innanzitutto, facendosi promotrice di iniziative che coinvolgano le comunità di immigrati locali, promuovendo attività nelle scuole per sensibilizzare i più piccoli su queste tematiche, stimolando la partecipazione attiva dei club e delle federazioni.Il calcio, e lo sport più in generale, viene considerato uno strumento che supera le barriere per il suo linguaggio non verbale, per la semplicità del gioco e la passione che riesce a suscitare. Tuttavia lo sport vive le contraddizioni presenti nelle nostra società e, finché non si genererà un cambiamento radicale nel modo di pensare, finché le diversità verranno considerate una barriera e non una ricchezza, gli episodi di razzismo saranno sempre presenti.Occorre puntare sull’educazione e sulla sensibilizzazione, dare voce alle attività di cui sono promotori gli stessi tifosi, non solo puntando l’indice accusatore verso le frange più razziste. Solo in questo modo sarà possibile costruire una società multiculturale e rispettosa dei diversi stili di vita e culture. La discriminazione nasce dalla non conoscenza, dalla paura del diverso. È necessario, dunque, impegnarsi per individuare punti di incontro e confronto, di scambio e di conoscenza reciproca.Le soluzioni indicate fino a oggi e quelle proposte di recente non risolveranno il problema che necessariamente deve passare da un processo di educazione al rispetto. Noi tutti ci stiamo provando e continueremo a farlo chiedendo un rinnovato impegno da parte dei grandi club.
Riflessione
Per prevenire il razzismo
di Giancarlo VALERI Presidente Csi Milano Redazione
15 Gennaio 2010