In una cornice unica di antico e moderno il 25 agosto del 1960 si aprivano a Roma i giochi della XVII Olimpiade moderna. Tutto filò liscio e in perfetta regola, nonostante quel numero, 17, che aveva fatto pensar male ai superstiziosi (13 furono le medaglie d’oro per l’Italia) e nonostante le solite polemiche sui costi della manifestazione, secondo il commento di qualcuno per cui “a Roma si era fatto troppo in grande”. Ma la città eterna volle accogliere al meglio gli oltre i 6.000 atleti delle 84 nazioni partecipanti che sfilarono nello Stadio Olimpico sotto gli occhi di centomila spettatori venuti da tutto il mondo. Edoardo Mangiarotti (vincerà la medaglia d’oro nel torneo a squadre di spada) era l’alfiere azzurro; un altro “nonno” carico di medaglie, il lanciatore Adolfo Consolini, pronunciò il giuramento decoubertiniano a nome di tutti i concorrenti; un giovane atleta, Giancarlo Peris, accese alla sommità della tribuna Tevere il classico tripode con la fiaccola venuta da Olimpia; il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi dichiarò ufficialmente aperti i Giochi dell’Olimpiade romana; l’onnipresente, anche allora, Giulio Andreotti, ministro della Difesa e a capo del Comitato organizzatore, lesse il discorso di circostanza, sotto lo sguardo del presidente del Consiglio Amintore Fanfani, giunto in ritardo per problemi di traffico. Fu l’Olimpiade, tanto per ricordare qualche protagonista, caratterizzata per noi italiani dall’esaltante vittoria di Livio Berruti nei 200 metri, e per il mondo dalla mitica impresa di Abebe Bikila vincitore a piedi nudi della maratona. Correva l’anno in cui per l’Italia cominciavano a farsi sentire gli effetti del boom economico, con l’edilizia e l’industria meccanica in rapida espansione, con la prima motorizzazione di massa e la crescente diffusione della Tv. Furono i primi Giochi olimpici a essere interamente coperti anche a livello internazionale dalla ripresa televisiva. In Italia la vita politica attraversava momenti difficili: appena un mese prima era caduto il governo Tambroni, dopo violente manifestazioni in varie città culminate nei tragici scontri di Reggio Emilia tra dimostranti e polizia durante i quali persero la vita cinque persone. La situazione mondiale, malgrado il messaggio olimpico di pace e fratellanza rilanciato dai colli di Roma, non era delle più tranquille. A maggio c’era stato l’abbattimento sui cieli sovietici dell’U-2, l’aereo spia statunitense, e il conseguente aggravarsi della tensione nei rapporti tra Usa e Urss. Nel Congo scoppiano con maggiore virulenza i disordini; da Cuba, con il regime di Fidel Castro entrato ormai nell’orbita sovietica, continuano a partire invettive contro gli Stati Uniti. La Francia è nei guai seri col Sudan e l’Algeria. Il gelo delle relazioni tra Mosca e Pechino crea nuovi problemi al di là e al di qua della cortina di ferro. In questo quadro è particolarmente confortante l’incontro di Giovanni XXIII con gli atleti di tutto il mondo convenuti mercoledì pomeriggio 24 agosto, il giorno prima dell’apertura dei Giochi, in una piazza San Pietro gremita di folla e inondata di sole. Il Papa è venuto appositamente da Castel Gandolfo. Le sue parole, riecheggianti il messaggio di pace proveniente da Olimpia, suonano come un appello paterno e vibrante rivolto a tutti, anche ai più lontani, grazie anche alla ripresa televisiva che mostra immagini di un pontefice dal volto bonario e sorridente. Ricorda che il suo predecessore, san Pio X, ricevette nel 1905 la visita del barone Pierre de Coubertin, approvandone in pieno il progetto, già allora realizzato, di far rinascere i Giochi olimpici. Poi papa Giovanni agli atleti prossimi a scendere in campo offre un “decalogo” che più ispirato agli ideali dello sport e di Olimpia non si può. “Siamo certi – dice – che tutti voi darete esempio di una sana competizione, esente da invidie e discussioni; nelle gare mostratevi sempre sereni e gioviali, modesti nella vittoria, obiettivi e di buon umore nella sconfitta, tenaci nelle difficoltà. Da genuini atleti testimoniate agli spettatori la verità dell’antico detto: Mens sana in corpore sano”. In una cornice unica di antico e moderno il 25 agosto del 1960 si aprivano a Roma i giochi della XVII Olimpiade moderna. Tutto filò liscio e in perfetta regola, nonostante quel numero, 17, che aveva fatto pensar male ai superstiziosi (13 furono le medaglie d’oro per l’Italia) e nonostante le solite polemiche sui costi della manifestazione, secondo il commento di qualcuno per cui “a Roma si era fatto troppo in grande”. Ma la città eterna volle accogliere al meglio gli oltre i 6.000 atleti delle 84 nazioni partecipanti che sfilarono nello Stadio Olimpico sotto gli occhi di centomila spettatori venuti da tutto il mondo. Edoardo Mangiarotti (vincerà la medaglia d’oro nel torneo a squadre di spada) era l’alfiere azzurro; un altro “nonno” carico di medaglie, il lanciatore Adolfo Consolini, pronunciò il giuramento decoubertiniano a nome di tutti i concorrenti; un giovane atleta, Giancarlo Peris, accese alla sommità della tribuna Tevere il classico tripode con la fiaccola venuta da Olimpia; il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi dichiarò ufficialmente aperti i Giochi dell’Olimpiade romana; l’onnipresente, anche allora, Giulio Andreotti, ministro della Difesa e a capo del Comitato organizzatore, lesse il discorso di circostanza, sotto lo sguardo del presidente del Consiglio Amintore Fanfani, giunto in ritardo per problemi di traffico. Fu l’Olimpiade, tanto per ricordare qualche protagonista, caratterizzata per noi italiani dall’esaltante vittoria di Livio Berruti nei 200 metri, e per il mondo dalla mitica impresa di Abebe Bikila vincitore a piedi nudi della maratona. Correva l’anno in cui per l’Italia cominciavano a farsi sentire gli effetti del boom economico, con l’edilizia e l’industria meccanica in rapida espansione, con la prima motorizzazione di massa e la crescente diffusione della Tv. Furono i primi Giochi olimpici a essere interamente coperti anche a livello internazionale dalla ripresa televisiva. In Italia la vita politica attraversava momenti difficili: appena un mese prima era caduto il governo Tambroni, dopo violente manifestazioni in varie città culminate nei tragici scontri di Reggio Emilia tra dimostranti e polizia durante i quali persero la vita cinque persone. La situazione mondiale, malgrado il messaggio olimpico di pace e fratellanza rilanciato dai colli di Roma, non era delle più tranquille. A maggio c’era stato l’abbattimento sui cieli sovietici dell’U-2, l’aereo spia statunitense, e il conseguente aggravarsi della tensione nei rapporti tra Usa e Urss. Nel Congo scoppiano con maggiore virulenza i disordini; da Cuba, con il regime di Fidel Castro entrato ormai nell’orbita sovietica, continuano a partire invettive contro gli Stati Uniti. La Francia è nei guai seri col Sudan e l’Algeria. Il gelo delle relazioni tra Mosca e Pechino crea nuovi problemi al di là e al di qua della cortina di ferro. In questo quadro è particolarmente confortante l’incontro di Giovanni XXIII con gli atleti di tutto il mondo convenuti mercoledì pomeriggio 24 agosto, il giorno prima dell’apertura dei Giochi, in una piazza San Pietro gremita di folla e inondata di sole. Il Papa è venuto appositamente da Castel Gandolfo. Le sue parole, riecheggianti il messaggio di pace proveniente da Olimpia, suonano come un appello paterno e vibrante rivolto a tutti, anche ai più lontani, grazie anche alla ripresa televisiva che mostra immagini di un pontefice dal volto bonario e sorridente. Ricorda che il suo predecessore, san Pio X, ricevette nel 1905 la visita del barone Pierre de Coubertin, approvandone in pieno il progetto, già allora realizzato, di far rinascere i Giochi olimpici. Poi papa Giovanni agli atleti prossimi a scendere in campo offre un “decalogo” che più ispirato agli ideali dello sport e di Olimpia non si può. “Siamo certi – dice – che tutti voi darete esempio di una sana competizione, esente da invidie e discussioni; nelle gare mostratevi sempre sereni e gioviali, modesti nella vittoria, obiettivi e di buon umore nella sconfitta, tenaci nelle difficoltà. Da genuini atleti testimoniate agli spettatori la verità dell’antico detto: Mens sana in corpore sano”.
50 anni dopo
Giovanni XXIII e le Olimpiadi quell’appello sempre nuovo
Si aprivano il 25 agosto 1960 le Olimpiadi di Roma: il messaggio del Papa agli atleti impegnati in pista
4950 - per_appuntamenti Redazione Diocesi
24 Agosto 2010