C’è agitazione nell’agosto del 1908, nella sede milanese della Gazzetta dello Sport. È corsa voce che il Corriere della sera, in collaborazione con il Touring Club Italiano, voglia lanciare per l’anno successivo un giro ciclistico d’Italia, sul modello del Tour de France che si corre già dal 1903. Il comproprietario della Gazzetta, Tullio Morgani, convoca il direttore Eugenio Costamagna e l’amministratore Armando Cougnet: «Il Giro dobbiamo farlo noi».
I tre si gettano a capofitto nell’impresa e il 13 maggio 1909, da Milano, parte il primo Giro, sotto la direzione di Cougnet. Otto tappe per 2.248 chilometri complessivi, 127 corridori partenti: via da piazzale Loreto, traguardo finale all’Arena.
Al seguito ci sono otto vetture: quattro per le squadre, due per l’organizzazione e la giuria, due per i giornalisti. I corridori vengono fotografati uno per uno prima della partenza, affinché non ci siano dubbi sulla loro identità.
Le notizie dalla corsa giungono a Milano attraverso dispacci telegrafici appesi in piazza Castello; i pochi che possiedono il telefono possono informarsi chiamando il 33.68. A quella prima edizione partecipa tra gli altri il celebre Petit-Breton, che però si ritira per una caduta nella prima tappa, la Milano-Bologna.
Vince il ventisettenne varesino Luigi Ganna, che ai cronisti dopo l’arrivo confessa, indicando il soprassella: «Me brüsa tanto chi sôta…». Il montepremi è di 25 mila lire. Ganna ne guadagna 5.325, l’ultimo classificato 300.
Il seme è gettato, l’albo d’oro inaugurato. Le prime edizioni prevedono la classifica a punti (nel 1912 addirittura a squadre). Le tappe durano intere giornate, con le sagome dei ciclisti che scompaiono dentro le nuvole di polvere sollevate dai copertoni. La classifica a tempi parte dal 1914, vince Calzolari.
Dopo la pausa bellica, nel 1922 il Giro viene disputato a giorni alterni: uno di corsa, uno di riposo. Nel 1923 entra in scena la cinematografia, per le riprese degli arrivi, senza sonoro.
Nel 1924 nessun campione al via a causa dello sciopero delle Case. La Gazzetta apre la corsa agli isolati, privi di assistenza, alle cui necessità provvede direttamente l’organizzazione.
C’è anche una donna, Alfonsina Strada. Per cadute e vicissitudini finisce fuori tempo massimo, ma prosegue senza numero e raggiunge ugualmente Milano, concludendo fra gli applausi. Il Giro lo vince Giuseppe Enrici, trentenne, piemontese.
Ma in quegli anni le strade del Giro sono teatro del grande duello Girardengo-Binda. L’Omino di Novi (primo nel 1919 e nel 1923) contro il Trombettiere di Cittiglio, che vince nel ’25, ’27, ’28, ’29 e ’33. Nel ’30 gli organizzatori pagano anticipatamente a Binda il premio destinato al vincitore (22.500 lire), purché non si presenti al via: la sua superiorità “uccide” la corsa. (m.c.)
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