Quella degli Arcimboldi è stata una serata “olimpica”, non a caso introdotta dalle note dell’Inno di Mameli, eseguito dalla banda parrocchiale di Trezzo sull’Adda e risuonato più volte, qualche mese prima, ad Atene grazie alle imprese degli atleti italiani protagonisti alle Olimpiadi e alle Paralimpiadi.
Ce n’erano tanti – dal pugile Cammarelle agli schermidori Rota e Cascioli, insieme allo specialista del tappeto elastico Flavio Cannone e al ciclista Fabrizio Macchi -, applauditi sotto lo sguardo compiaciuto di Edoardo Mangiarotti, il campione più medagliato della storia azzurra, e premiati dal Cardinale insieme ai rappresentanti e ai tesserati di società sportive giovanili e d’oratorio («i veri campioni sono loro», ha detto una dirigente).
La manifestazione è stata scandita dalla lettura di alcune considerazioni sullo sport dell’Arcivescovo, stralciate dal volume Sportivi uomini veri che ha dato il titolo all’intera serata e offerto lo spunto a monsignor Carlo Mazza, cappellano della rappresentativa olimpica, per una breve riflessione: «Atene è stato il trionfo di “uomini veri”, la manifestazione della bellezza dell’uomo come creatura che viene da Dio. Quel Dio che gli stessi atleti desiderano sentire vicino attraverso la presenza discreta, attenta alla persona, del sacerdote».
Olimpiadi e Paralimpiadi «hanno testimoniato il valore degli atleti italiani» secondo il presidente regionale del Coni Pino Zoppini, mentre per quello provinciale di Milano Filippo Grassia hanno mostrato «il volto sano dello sport, a fronte di quello “malato” che spesso ci propone la tv».
Il volto grintoso di Igor Cassina, che già da ragazzo era sicuro di diventare
«il nuovo Yuri Chechi»; oggi, con l’oro olimpico al collo, ha fatto trattenere il fiato al pubblico con le sue evoluzioni alla sbarra allestita sul palco degli Arcimboldi («stiamo ancora aspettando che qualcuno imiti il caratteristico e inedito movimento che da Igor ha preso nome – ha spiegato il suo allenatore Maurizio Allievi -, ma intanto sperimentiamo già il “Cassina-2”…»), e poi ha spiegato il senso del suo impegno come volontario al carcere comasco del Bassone: «Mi sembra giusto essere vicino e aiutare in qualche modo persone che magari hanno sbagliato nella loro vita, ma che sicuramente sono state meno fortunate di me».
I volti determinati di Giampaolo Montali e Carlo Recalcati, tecnici delle nazionali di pallavolo e pallacanestro condotte a due argenti su cui nessuno, prima di Atene, avrebbe scommesso. «Una medaglia che ha un grande peso specifico, perché siamo una squadra giovane, e per la quale mi hanno particolarmente commosso i complimenti del cardinale Tettamanzi», ha ammesso Montali. «Un premio alla nostra compattezza: eravamo coscienti di dover soffrire contro avversari che avevano più talento di noi, ma sapevamo anche che potevamo giocarcela contro chiunque », la sottolineatura di Recalcati, coach del «vero Dream Team di oggi» secondo Dan Peterson. [m.c.]