Sono rimasto piacevolmente sorpreso, lo scorso week-end, del comportamento assolutamente corretto mantenuto sui campi di gioco e tra gli spalti. Ero andato a guardare un paio di incontri calcistici. Rientrato lunedì in ufficio, alcune mail ricevute dai nostri osservatori di campo – che avevano visionato un certo numero di gare in calendario – mi confermavano la stessa cosa: massima correttezza da parte dei giocatori, dei dirigenti e del pubblico.
L’avvicinarsi del Natale? No. Voleva essere solo una battuta. Allora ho cercato di riflettere su questo aspetto positivo, chiedendomi se un piccolo contributo siamo forse riusciti a darlo anche noi del Csi, parlando insistentemente di educazione, di rispetto, di fair-play, di comportamenti capaci di dare l’esempio. Sta cambiando qualcosa? In qualche modo sì.
Una notizia molto interessante. Un allenatore di una società sportiva, nel corso di una partita della categoria Allievi (16-17 anni), con tre ragazzi già espulsi e un quarto che si stava dirigendo con fare minaccioso verso l’arbitro, ha avuto il coraggio di dire «stop». Sì, ha sospeso la partita e ha ritirato la squadra. «Tutti a casa, adesso basta», ha gridato tra lo stupore di avversari e pubblico. «L’ho fatto per tutelare il direttore di gara: alcuni dei miei giocatori avevano perso la testa, volevano farsi giustizia da soli, quello non era più calcio, volevo dare un segnale forte…», ha poi spiegato, sapendo che non tutti avrebbero capito. Così è successo: ha perso il posto. Licenziato su due piedi (si fa per dire, visto che non prende un euro). Il giorno dopo i ragazzini hanno scritto alla società dicendo: «Se c’era da esonerare qualcuno, quelli eravamo noi! Abbiamo avuto una condotta sconsiderata, violenta e impulsiva. L’allenatore voleva soltanto proteggerci, evitando che la situazione degenerasse. Abbiamo sbagliato».
L’altro episodio è quello dei piccoli allievi della scuola calcio della A.s. Varese 1910, che tirano le orecchie ai propri genitori esponendo un cartello sulla cancellata dello stadio con scritto: “Ciao a tutti, questo è il campo di gioco dei bambini della scuola calcio della A.s. Varese 1910. Noi qui ci divertiamo, impariamo a rispettare le regole, i compagni e i mister. Non giochiamo mai ‘contro’, ma ‘con’ i bambini delle altre squadre. Non rovinateci il piacere di calciare un pallone. Evitate i commenti e gli atteggiamenti esagerati. Non è colpa nostra se qualche genitore è dispiaciuto per non essere diventato calciatore. Urlare non serve a nulla. Lasciateci sognare. Divertirci è un nostro diritto. Sostenerci sempre, è un vostro dovere ed è una gioia per noi». Capito? Di certo non è stata una dichiarazione scritta di loro sponte, ma hanno sicuramente al loro fianco persone di alto profilo educativo.
Sono solo alcuni dei tanti episodi che ci raccontano di educazione attraverso lo sport. Prendiamone spunto ed esempio: per contribuire anche noi ad accrescere i gesti positivi, perché non rimangano solo episodi. Sono rimasto piacevolmente sorpreso, lo scorso week-end, del comportamento assolutamente corretto mantenuto sui campi di gioco e tra gli spalti. Ero andato a guardare un paio di incontri calcistici. Rientrato lunedì in ufficio, alcune mail ricevute dai nostri osservatori di campo – che avevano visionato un certo numero di gare in calendario – mi confermavano la stessa cosa: massima correttezza da parte dei giocatori, dei dirigenti e del pubblico.L’avvicinarsi del Natale? No. Voleva essere solo una battuta. Allora ho cercato di riflettere su questo aspetto positivo, chiedendomi se un piccolo contributo siamo forse riusciti a darlo anche noi del Csi, parlando insistentemente di educazione, di rispetto, di fair-play, di comportamenti capaci di dare l’esempio. Sta cambiando qualcosa? In qualche modo sì.Una notizia molto interessante. Un allenatore di una società sportiva, nel corso di una partita della categoria Allievi (16-17 anni), con tre ragazzi già espulsi e un quarto che si stava dirigendo con fare minaccioso verso l’arbitro, ha avuto il coraggio di dire «stop». Sì, ha sospeso la partita e ha ritirato la squadra. «Tutti a casa, adesso basta», ha gridato tra lo stupore di avversari e pubblico. «L’ho fatto per tutelare il direttore di gara: alcuni dei miei giocatori avevano perso la testa, volevano farsi giustizia da soli, quello non era più calcio, volevo dare un segnale forte…», ha poi spiegato, sapendo che non tutti avrebbero capito. Così è successo: ha perso il posto. Licenziato su due piedi (si fa per dire, visto che non prende un euro). Il giorno dopo i ragazzini hanno scritto alla società dicendo: «Se c’era da esonerare qualcuno, quelli eravamo noi! Abbiamo avuto una condotta sconsiderata, violenta e impulsiva. L’allenatore voleva soltanto proteggerci, evitando che la situazione degenerasse. Abbiamo sbagliato».L’altro episodio è quello dei piccoli allievi della scuola calcio della A.s. Varese 1910, che tirano le orecchie ai propri genitori esponendo un cartello sulla cancellata dello stadio con scritto: “Ciao a tutti, questo è il campo di gioco dei bambini della scuola calcio della A.s. Varese 1910. Noi qui ci divertiamo, impariamo a rispettare le regole, i compagni e i mister. Non giochiamo mai ‘contro’, ma ‘con’ i bambini delle altre squadre. Non rovinateci il piacere di calciare un pallone. Evitate i commenti e gli atteggiamenti esagerati. Non è colpa nostra se qualche genitore è dispiaciuto per non essere diventato calciatore. Urlare non serve a nulla. Lasciateci sognare. Divertirci è un nostro diritto. Sostenerci sempre, è un vostro dovere ed è una gioia per noi». Capito? Di certo non è stata una dichiarazione scritta di loro sponte, ma hanno sicuramente al loro fianco persone di alto profilo educativo.Sono solo alcuni dei tanti episodi che ci raccontano di educazione attraverso lo sport. Prendiamone spunto ed esempio: per contribuire anche noi ad accrescere i gesti positivi, perché non rimangano solo episodi.
Sport ed educazione
I bambini insegnano
di Giancarlo VALERI Presidente Csi Milano Redazione
4 Dicembre 2009