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Padre Morell, avvicinare tutti

A sei anni dalla sua scomparsa, “Una vita per e con i giovani” evidenzia attraverso i suoi scritti la statura di uomo e sacerdote dell’educatore gesuita

18 Aprile 2012

La Diocesi di Milano può elencare un alto numero di educatori che hanno saputo porsi totalmente al servizio della Chiesa e della comunità cristiana. Uno di questi educatori è stato padre Lodovico Morell SJ, un gesuita che ha saputo coniugare la sua grande affezione alla Compagnia di Gesù e la sua profonda dedizione alla comunità ambrosiana, nella quale ha operato per tutta la vita, ponendosi accanto ai giovani. A distanza di sei anni dalla sua scomparsa (1913-2006), una bibliografia (Una vita per e con i giovani, a cura di Giancarlo Tettamanti, Ancora Editrice, pagine 134, euro 14) ne evidenzia la statura di uomo e di sacerdote, dando risposta, attraverso i suoi scritti, alla pressante domanda che gli ardeva nel cuore: «Che cosa si potrebbe fare per avvicinare tutti?».

Originario di Osnago (Lecco), ha seguito la sua vocazione sacerdotale con dedizione assoluta, ponendo la propria spiritualità a esempio e riferimento per quanti lo hanno conosciuto. Un educatore vero, che con passione ha insegnato cose in cui ha creduto per davvero, e che ha saputo indicare, attraverso lo sport e il tempo libero, una via possibile di realizzazione di un personale processo di auto-affermazione, aiutando, così, i molti giovani che ha incontrato a capire chi sono, da dove vengono e dove vanno: cioè a scoprire il senso della vita.

Con queste intenzionalità, padre Morell – la cui missione tra i giovani iniziò nell’oratorio di San Fedele nel 1946 – ebbe a pensare – a contatto con le tragiche conseguenze della guerra, e in cammino verso una normalizzazione non solo economica, ma anche culturale ed esistenziale – a un luogo ampio dove raccogliere i ragazzi per aiutarli a crescere attraverso la pratica del “gioco” e dello “sport”, attuata secondo certi valori condivisi.

Tra quelle mura, aiutò, conducendoli quasi per mano, molti giovani a prendere coscienza di se stessi, a risvegliare in loro il coraggio delle decisioni definitive, a maturare la capacità di vedere, giudicare e affrontare la realtà. Ma non solo: li aiutò ad approfondire il senso religioso che albergava in loro, e a divenire – pur con gradualità e intensità diverse – uomini e donne per e con gli altri, accompagnando così quel progetto di unificazione personale teso a essere protagonisti nella vita familiare, nelle scelte vocazionali e nell’impegno professionale e sociale.

Fondatore a Milano, nel 1954, e direttore per oltre cinquant’anni del Centro Giovanile Cardinal Schuster, ebbe modo di incontrare e avvicinare un numero grandissimo di ragazzi e ragazze, di indicare loro motivazioni e valori esistenziali, di aiutarli a vivere la loro età con gioia e allegria in un ambito in grado di sostenere la loro crescita umana e cristiana.

Operò indicando lo sport come un momento di autentica crescita culturale, capace di sconfiggere quel concetto di cultura – ancor oggi presente nella nostra società – che la identifica unicamente nel possesso di strumenti spesso privi di un’anima. Questo suo impegno educativo e formativo – affrontato a tutto campo – ebbe anche a incontrare difficoltà e contrarietà; tuttavia ha costituito, lungo il tempo di una vita, una testimonianza forte e una dedizione totale.

Tracciare un quadro della sua spiritualità è certamente arduo, tuttavia è possibile coglierne l’essenza: in lui il sacerdote stava all’uomo, come l’uomo stava al sacerdote. Innanzitutto era e si sentiva sacerdote “gesuita”, ma non dimenticava di essere sacerdote “diocesano”, cioè pervaso di quella realtà nella quale si sentiva di dover portare il proprio contributo nella realizzazione del “Regno”. Da qui la sua affezione alla struttura oratoriana, che egli realizzò in ampia scala, coniugando la pedagogia ignaziana con quella salesiana, ponendola al servizio delle parrocchie, dando loro gli spazi per quella azione evangelizzatrice cui erano preposte.

Ricordando l’impegno educativo profuso da questo figlio di Sant’Ignazio, gli dobbiamo la riscoperta degli autentici valori dell’educazione sportiva come occasione e strumento per fronteggiare il disagio presente nella nostra società, per superare i rischi e le devianze, per correggere arroganze e violenze inutili e per favorire l’integrazione, la convivenza e la solidarietà

Uomo apparentemente duro, tuttavia lasciava trasparire dalla scorza del suo carattere una sensibilità e un amore grande per il prossimo. Certo, non accettava compromessi e su alcune posizioni era categorico: difficilmente cambiava parere, e ciò proprio perché fermamente convinto delle sue scelte. Chi ha avuto modo di conoscerlo profondamente, ha saputo tuttavia apprezzarne la statura, e da lui non solo ha colto, ma ha trattenuto per sé orientamenti e riferimenti che spesso ne hanno cambiato la vita.