Capita spesso di lamentarci degli esempi sempre meno edificanti che il nostro calcio è in grado di fornire, con violenze assortite in campo e sugli spalti, gesti inconsulti anche da parte degli addetti ai lavori, scandali assortiti soprattutto legati alle scommesse e un tourbillon di interessi che vanno dagli sponsor alle tv, che lasciano ormai poco spazio a un romanticismo alla Umberto Saba, che vedeva nella partita di pallone un momento quasi epico.
Ora però la Lega di Serie A, in collaborazione con il Csi, ha forse capito che il movimento si è spinto troppo oltre e che la disaffezione verso lo sport più amato è ai massimi storici, inversamente proporzionale alla sua credibilità, in picchiata ormai cronica. Così sta cercando di correre ai ripari con un’operazione simpatia che, se non sarà soltanto di facciata, potrebbe segnare una piccola inversione di tendenza.
Sta infatti partendo in numerosi stadi di Serie A la Junior Tim Cup, manifestazione under 14 di calcio a 7, di ragazzi provenienti dagli oratori che saranno protagonisti negli stadi di Serie A. I campioni in erba avranno l’occasione di calcare il campo dei loro idoli, giocando poco prima delle gare di serie A e contribuendo a riavvicinare un mondo che negli ultimi tempi si era fatto sempre più ostile e persino pericoloso per le famiglie.
Invece, se sfruttato a dovere, questo potrebbe essere un primo passo verso una “riconciliazione” vera, a patto che i protagonisti del calcio adulto comincino a cambiare certi atteggiamenti. Ci auguriamo che questa inversione di marcia possa davvero avvenire in tempi rapidi, perché altrimenti, far assistere dei bambini, entusiasti per aver giocato a San Siro o all’Olimpico, a spettacoli indecenti come quelli esibiti anche di recente da alcuni giocatori o allenatori (oltre ai beceri cori razzisti di Busto Arsizio) potrebbe diventare un boomerang pericolosissimo.
D’altronde chi ha pensato a questa lodevole iniziativa non ha inventato nulla di nuovo: già negli anni Cinquanta-Sessanta, subito prima della partita di cartello, sui campi della Serie A si giocavano già le sfide delle squadre giovanissimi o allievi ed era tantissima la gente che accorreva in anticipo allo stadio per scorgere i potenziali campioni di domani. Così, ad esempio, ad Alessandria scoprirono un biondino gracile che però a 12 anni faceva già portenti e quasi a furor di popolo, i tifosi lo imposero subito in prima squadra dove esordì quando non aveva neppure compiuto 16 anni: era Gianni Rivera.
In un momento di crisi globale, in cui il calcio sembra quasi forzatamente riscoprire i propri vivai, la scelta di far giocare i bambini negli stadi dei “grandi” può forse diventare l’ultima occasione per il riscatto di uno sport che, nonostante le sue brutture, continua ad essere il più amato perché è il più diretto e in fondo democratico, nel senso che a volte premia squadre meno dotate tecnicamente o economicamente, che però nella partita sanno lanciare il cuore oltre l’ostacolo.
Far tornare gli oratori nei “santuari del calcio” potrebbe davvero rappresentare un’iniezione di entusiasmo e di freschezza, con tante mamme e papà nuovamente invogliate con i loro bimbi a riconquistare quegli stadi oggi sempre più vuoti, in ostaggio di violenze assortite.