Adesso si comincia davvero. Dopo anni di attesa per il ritorno del calcio nella sua terra di maggior vocazione, giovedì il Brasile spalanca le sue porte al mondo. E lo fa con un’immagine in chiaroscuro, con le tante facce della festa, ma anche con quelle della contestazione, dell’emarginazione, del caos, dei ritardi e persino della violenza, che hanno agitato questa vigilia infinita trasformando il Mondiale in una polveriera, con tanti problemi sociali che rischiano di venire a galla proprio durante la manifestazione. Anche l’Italia arriva malconcia a questo appuntamento cruciale, divorata da una crisi del suo football e dagli infortuni che l’hanno incalzata fino all’ultimo (vedi il dramma sportivo di Montolivo, che sperava di riscattare l’annus horribilis con il Milan e che invece si è infortunato seriamente proprio nel match della vigilia con l’Irlanda) o delle polemiche per le esclusioni eccellenti (Giuseppe Rossi alla fine non è stato inserito nella lista dei 23 nonostante il tentativo di recupero in extremis dopo il lungo infortunio).
Vedremo che succederà, augurandoci che il Paese carioca sappia mostrare il suo volto migliore, senza però dimenticarsi dei gravi problemi economici che non possono essere sacrificati sull’altare di una competizione sportiva. Dopo le morti nei cantieri degli stadi, dopo i tumulti nelle piazze, ora le ultime notizie parlano del fatto che le autorità starebbero abbattendo alcune favelas per abbellire le location dei Mondiali: percorso giusto se si avessero già appartamenti pronti per ospitare chi viveva nelle baraccopoli: peccato invece che centinaia di persone non avranno neppure più un tetto di lamiera sulla testa. Notizie così non arrivano subito dai canali ufficiali, ma dai social network: ecco perché un evento importante come i Mondiali non può lasciarsi alle spalle macerie e fingere che non sia successo nulla: nelle prossime settimane ci occuperemo tanto di tattica e di tecnica, di partite meravigliose e di campioni straordinari, ma ora permetteteci di chiedere al Brasile, di sapersi meritare “sul campo” questi onori, senza dimenticare indietro nessuno.
Basterebbe pensare al viaggio del Papa che un anno fa, in occasione della Giornata mondiale della Gioventù, incontrò i giovani proprio nelle favelas e li invitò a non scoraggiarsi mai, a non perdere la fiducia. Auguriamoci che il Mondiale non aumenti le ingiustizie, ma cerchi attraverso un evento così importante, che sarà bissato dalle Olimpiadi tra due anni, di diminuire le disparità sociali. «Cercate voi per primi – aveva detto il Papa – di portare il bene, di non abituarvi al male, ma di vincerlo». Oggi le principali proteste riguardano il costo dei Mondiali: 11 miliardi di dollari, denaro che, secondo i manifestanti che hanno riempito le strade in tante occasioni in questi mesi della vigilia, sarebbero potuti essere impiegati per aiutare le classi più indigenti. Vedremo cosa succederà nelle prossime quattro settimane: di sicuro nessuno potrà pensare che chi registra un evento di simile portata si limiti alla cronaca di quello che succederà in campo.