Verrebbe da pensare a un grande pittore che, finito di dipingere, mette la firma in fondo al quadro. Fiorenzo Magni se ne è andato stanotte, a quasi 92 anni, pochi giorni dopo che il mondo dello sport italiano gli aveva reso omaggio al Coni a Roma in occasione della presentazione del libro biografico curato da Auro Bulbarelli.
Magni “terzo uomo” (così si intitola il libro), perché capace di trovare una sua dimensione di campione in un’epoca in cui il ciclismo era dominato da due giganti come Fausto Coppi e Gino Bartali. Magni, “Leone delle Fiandre”, altro soprannome dovuto alla sua fantastica tripletta in una delle più dure “classiche” del Nord.
Magni emblema della grinta e della determinazione a cui si aggrappava quando pedalava su terreni che non gli erano congeniali. Così sono nate le tre vittorie al Giro d’Italia e nelle grandi gare in linea, ma così ha lasciato il segno anche nelle corse che non ha vinto: come il Tour de France del 1950, abbandonato in maglia gialla con tutta la Nazionale in segno di protesta (che lui non condivideva) contro l’aggressione a Bartali sull’Aspin; o come il Giro del 1956, portato a termine al secondo posto malgrado una frattura alla clavicola.
Magni innovatore, ideatore del primo abbinamento tra una squadra ciclistica e uno sponsor. Magni campione nello sport e nella vita: sceso dalla bicicletta, si è proposto nelle vesti di industriale di successo e di dirigente sportivo di grande carisma. Magni uomo delle sfide impossibili, come quella di realizzare un Museo del Ciclismo unico al mondo sul Colle del Ghisallo: una scommessa raccolta e puntualmente vinta, una creatura amata e custodita fino all’ultimo dal suo presidente.
Ma anche Magni marito, padre e nonno felice, circondato dall’amore della sua famiglia e animato da una fede genuina, sincera, per nulla retorica (ne parlò nell’intervista rilasciata nel dicembre 2010 a Il Segno in occasione dei suoi 90 anni, in allegato nel box in alto a sinistra). Una vita vissuta intensamente, una lezione, un esempio.