È già accaduto. I terribili fatti di venerdì 13 novembre e la coda di paura, che ha causato moltissimi rinvii e campi sportivi blindati in mezza Europa, non sono purtroppo un caso isolato. Ciclicamente la scia di terrore, politico, razziale o religioso si riflette su quello che dovrebbe solo affratellare e riunire: lo sport. Le modalità cambiano, attentato singolo o di gruppo, raffiche di mitra, bombe o kamikaze, ma il risultato è sempre quello di seminare panico e terrore, oltre a centinaia di morti.
È già trascorso quasi mezzo secolo, per l’esattezza 43 anni, quando il mondo trattenne il respiro per l’attacco terroristico portato alle Olimpiadi di Monaco del 1972: da allora, si dice, anche lo sport perse la sua innocenza e si moltiplicarono le misure di sicurezza che non impedirono però il ripetersi di fatti sanguinosi ed eclatanti.
Monaco 1972 come spartiacque quindi, con il commando palestinese di “Settembre nero” che irruppe nel villaggio olimpico, uccidendo subito due atleti, prendendone in ostaggio altri nove e con le teste di cuoio tedesche che, con un blitz, chiusero la partita con un bagno di sangue.
In tempi più recenti, nel 1997, durante i Mondiali di ciclismo spagnoli a San Sebastian, una bomba dell’Eta esplode al passaggio di un convoglio della Guardia Civil: per fortuna si contano solo feriti, così come quelli che causano due autobombe, sempre firmate Eta nel maggio 2002, vicino allo stadio “Santiago Bernabeu” di Madrid prima del grande clasico tra Real Madrid e Barcellona.
Persino sport così lontani dall’idea di conflittualità come il cricket non sono esenti da tragedie, come quella in Nuova Zelanda nel 2007 o in Pakistan nel 2009, quando il terrorismo islamico causò morti e feriti tra giocatori e civili. Intanto, come è accaduto in queste settimane, anche in passato spesso alcuni eventi sportivi sono stati rinviati o annullati per l’alto rischio terrorismo: un esempio tra tanti è stata la cancellazione della Parigi-Dakar 2008 a causa del fortissimo rischio di attentati che la corsa avrebbe dovuto affrontare durante il suo passaggio in Mauritania, in cui era ben radicato il fondamentalismo estremista. Nello stesso anno l’atletica viene colpita in Sri Lanka, dove durante una maratona un militante delle Tigri Tamil si fa esplodere in mezzo ai partecipanti, causando 15 morti e oltre cento feriti. Anche la pallavolo conosce il lato oscuro del terrore, sempre in Pakistan nel 2010, con un kamikaze che si lancia con la sua auto imbottita di esplosivo tra la folla durante una partita di volley; impressionante il bilancio: 105 vittime e più di 200 feriti. Nello stesso anno in Africa, il terrorismo torna a colpire il calcio in Angola, durante la Coppa d’Africa: il pullman con a bordo la nazionale del Togo viene mitragliato dai terroristi, facendo tre vittime e nove feriti. Negli occhi di tutti poi la tragedia più recente, quella della Maratona di Boston di due anni fa, quando due bombe esplosero a pochi metri dal traguardo causando il decesso di tre persone (tra cui un bimbo di otto anni) e 260 feriti.
Una lunga scia di sangue che, però, non ha sconfitto lo sport, capace sempre di rialzarsi. Anzi, esso, con il suo carico di umanità, altruismo e integrazione può diventare il più grande nemico della violenza se saprà agire unito e non cederà alla paura.