Quando nei sedicesimi di Coppa Italia, aveva eliminato il Palermo, già allora si parlava di impresa, di cuore oltre l’ostacolo, ma ora il fatto che l’Alessandria, squadra di Lega Pro dalle nobili tradizioni, sia riuscita a battere anche il Genoa, in un’epica partita in 10 contro 11 a Marassi e poi lo Spezia nei quarti, approdando all’andata della semifinale con il Milan, ci fa dire che i grigi la loro Coppa Italia l’hanno già vinta. Orgoglio, volontà, capacità di mettere in campo le energie migliori hanno portato a quello che non può neanche definirsi un miracolo, perché chi ha visto le partite può essersi reso conto di come la squadra del presidente Di Masi abbia sempre espresso un calcio propositivo anche contro gli squadroni di serie A: e se questi ultimi possono in qualche modo avere snobbato la provinciale piemontese dalle maglie grigie che furono prestate un secolo fa dal patron Maino, lo scopritore dell’asso del ciclismo Girardengo, questo non vale assolutamente per una compagine di B come La Spezia, che dopo aver eliminato la Roma negli ottavi, vedeva anch’essa davanti a sé il traguardo storico delle semifinali. Dove invece l’Alessandria trova i rossoneri in una sfida dai sapori antichi, con l’icona di Gianni Rivera come denominatore comune, che cominciò a tirare i suoi primi calci da quindicenne (ma già in serie A) al Moccagatta e poi si consacrò a San Siro, inevitabile testimonial dell’incontro che per ragioni di capienza si gioca all’andata stasera a Torino con ritorno al Meazza il 1° marzo.
Questa serie di vittorie insperate, giocate sempre in casa del più quotato avversario (lacuna atavica di una Coppa Italia che così non decollerà mai a differenza della Coppa d’Inghilterra, dove sono le piccole società a ospitare nei turni eliminatori i grandi club) ha creato un effetto mediatico enorme, al punto che nel mondo dei social l’Alessandria del bomber Bocalon, del portiere Vannucchi e del jolly Marras è diventata l’emblema del calcio pulito, semplice, dai valori antichi, leali, contro l’arroganza del calcio contemporaneo, drogato dalla finanza, da sponsor invadenti e fatalmente condizionato dagli interessi delle televisioni. Senza rovistare nel passato, la prova del livello tossico del nostro calcio, l’abbiamo avuta nell’altro quarto di finale di Coppa, Napoli-Inter, quando uno degli allenatori di uno dei massimi club di serie A ha insultato, con offese omofobe, il suo collega di panchina. Non se ne può più: ecco perché impazza l’“Alessandriamania” sul web e tra le tante piazze (anche virtuali) italiane. È una boccata d’aria pura in un contesto ormai avvelenato in cui anche i protagonisti sul campo, che dovrebbero dare l’esempio a tifosi sempre più irrequieti, sono i primi spesso a fornire pessimi esempi. Ben venga quindi un tecnico come Angelo Gregucci, ex bucaniere delle aree di rigore, che anziché lanciare proclami, dedica il trionfo di La Spezia a Piermario Morosini, ragazzo sfortunato che lui allenò a Vicenza e che morì sul campo nel 2012 a Pescara. Bentornati grigi!