Domenica 29 settembre, mentre nella diocesi di Milano si apriranno i cancelli per dare avvio al nuovo anno oratoriano «a tutto campo», nello stadio-simbolo del calcio italiano, San Siro, la curva del Milan resterà chiusa, colpevole di «discriminazione per origine territoriale».
Un’immagine che racconta l’ottusità di un tifo minore, capace però di inquinare lo sport più bello del mondo, che viene praticato da tanti ragazzi che frequentano l’oratorio. Ieri sera è rimasta chiusa l’altra curva, quella dell’Inter, punita per i cori razzisti rivolti ai giocatori di colore della Juventus. All’alba della stagione ha pagato la Lazio, mentre la Roma ha scontato una vecchia squalifica. Le offese non hanno confini e smascherano una cultura che non fa onore al nostro Paese, divenendo specchio di una società che sembra riflettersi nel mondo del calcio.
Giusta la linea dura, ma giusto anche dare rilievo a chi non solo si dissocia, ma combatte il razzismo in tutte le sue sfaccettature. Quei campi dei nostri oratori, che sono insieme un segno e un impegno aperto. È il segno molto chiaro della voglia di educare da parte di una comunità cristiana, del suo desiderio di stare vicina ai suoi ragazzi e di promuoverne la crescita; del suo cercare di chiamare tutti, al di là del colore della pelle, della religione e del luogo di origine.
Invitare, organizzare, raccogliere i ragazzi, disporre di un campetto e di strutture non è un impegno così difficile. Ciò che è più complesso da portare avanti è trasformare un semplice «campo» in un ambiente davvero significativo, un susseguirsi di relazioni ed esperienze feconde, capaci di promuovere il bene di ogni ragazzo.
Il campo dell’oratorio è tale quando rende possibile l’incontro faccia a faccia, la vicinanza, la condivisione; quando la sua frequentazione permette a un ragazzo di sentirsi a casa, perché in esso ciascuno riconosce ed è riconosciuto.
È da questa centralità dell’incontro con l’altro che scaturisce il profilo dell’oratorio come «ambiente aperto e accogliente», dove la soglia di accesso è bassa, perché il requisito minimo richiesto è semplicemente il rispetto dell’altro e del luogo che si frequenta. Chi entra troverà sempre un sorriso ad accoglierlo, una mano per sostenerlo e una parola per incoraggiarlo. Magari varcherà la soglia per una palla, ma se ne andrà con un amico.
È questa prossimità tra le persone che permette la favola dell’incontro. E in fondo, alle favole si può sempre credere. Anche a quelle dello sport, che ne ha tante da raccontare: quella dell’Integra Sport Chieti, squadra composta interamente da extracomunitari, che ha raggiunto le finali nazionali del Csi; oppure quella di Gino Bartali, che salvò centinaia di ebrei con la sua bicicletta, e che per questo è stato recentemente proclamato «giusto delle nazioni».
Ogni oratorio è impegnato «a tutto campo» a far sì che i lucchetti, soprattutto del cuore, non scattino più.