Riguarda gli enti non commerciali, e in particolare ecclesiastici, la sentenza del 15 settembre 2016 di primo grado del Tribunale dell’Unione europea (ndr con sede in Lussemburgo). I Giudici lussemburghesi hanno respinto il ricorso proposto, tra gli altri, da un istituto scolastico, nel quale si lamentava l’illegittimità della decisione della Commissione europea 2013/284/Ue.
In dettaglio, con tale documento la Commissione europea ha ritenuto che l’esenzione dall’Ici concessa agli enti non commerciali che svolgevano, negli immobili interessati, attività specifiche, ritenute meritevoli di tutela, costituiva un cosiddetto “aiuto di Stato”, incompatibile con il mercato interno.
Tuttavia, sempre in tale decisione, la Commissione aveva considerato che sarebbe risultato assolutamente impossibile per la Repubblica italiana il recupero degli aiuti illegittimamente concessi. A fronte di tale ragionamento, la Commissione aveva disposto che l’Italia non dovesse procedere.
Il Tribunale, nella propria pronuncia del settembre 2016, ha ribadito la radicale impossibilità di dare esecuzione all’obbligo di recupero, atteso che le banche-dati fiscali e catastali non consentivano di identificare né il tipo di attività svolta negli immobili di proprietà degli enti ecclesiastici, né di calcolare in modo oggettivo l’imposta da recuperare.
La sentenza affronta poi il tema della compatibilità dell’attuale assetto agevolativo (che prevede il riconoscimento dell’esenzione dall’Imu per gli immobili ove le attività agevolate si svolgano con “modalità non commerciali”) con il divieto di “aiuto di Stato” di cui all’articolo 107 del Tfue (ndr Trattato sul funzionamento dell’Unione europea).
In particolare, ad avviso dei Giudici lussemburghesi, l’attuale disciplina non contrasta con il diritto europeo per una serie di ragioni.
In primis, spiegano i giudici, per poter beneficiare dell’esenzione dall’Imu le attività svolte dagli enti interessati non devono avere scopo di lucro; inoltre, non devono, per loro natura, porsi in concorrenza con quelle di altri operatori del mercato.
Sotto un secondo profilo, l’atto costitutivo o lo statuto dell’ente devono contemplare un generale divieto di distribuzione di qualsiasi utile, avanzo di gestione, fondo e riserva; infine, e in particolare per gli enti che svolgono attività nel settore ricettivo, il beneficiario deve fornire servizi a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico.
Se la citata pronuncia, da un lato, è da accogliere con favore nella parte in cui nega la possibilità per lo Stato di recuperare dagli enti non commerciali, e quindi anche ecclesiastici, una cifra che si aggira attorno ai 4 miliardi di euro, dall’altro pone non pochi problemi, legati soprattutto al riconoscimento dell’adeguatezza dell’attuale normativa di favore.
Una prima criticità consiste nella radicale diversità tra “modalità non commerciali” (locuzione questa prevista dalla nuova disciplina agevolativa Imu), e “attività non commerciali”: per il diritto tributario, infatti, ciò che rileva è l’esercizio dell’impresa, cioè l’attività commerciale, giammai le modalità di svolgimento della stessa. Conferma di ciò è data anche dalla circostanza che alcune delle attività agevolate, traducendosi in servizi di grande delicatezza e complessità, date le esigenze di una società moderna, richiedono per la loro gestione una struttura qualificata sotto il profilo della professionalità e dell’organizzazione e sono necessariamente rese con il contributo degli utenti e/o dell’ente pubblico.
Un secondo equivoco risiede nella qualifica delle attività svolte da tali enti come attività commerciali in quanto svolte a fronte di un dato corrispettivo. In ambito fiscale, invece, un’attività può dirsi economica quando sia l’acquisto dei fattori di produzione, sia la cessione di beni e servizi avviene verso pagamento di un corrispettivo. Tale caratteristica verrebbe quindi a mancare sia quando l’attività non è corrispettiva sia quando è sostenuta in modo decisivo dall’acquisizione gratuita di tutto o parte dei mezzi occorrenti per l’esercizio della medesima attività.
Ci auguriamo che la riforma del Terzo settore, avviata dal Governo con l’approvazione del disegno di legge delega del 25 maggio 2016 (ndr e completata con i decreti legislativi varati il 28 giugno 2017), rappresenti una reale occasione per ripensare la fiscalità di vantaggio a favore di tali enti, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di solidarietà, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione, e in dialogo con il sistema europeo, oggi più che mai necessario.