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Sirio 18 - 24 novembre 2024
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Rischio chiusura

C’erano una volta le scuole paritarie

Far pagare l’Imu decisione gravemente antilibertaria, ingiusta, incostituzionale

del professor avvocato Gianfranco GARANCINI presidente dell’Unione Giuristi Cattolici di Milano

4 Dicembre 2012

Secondo la legge 10 marzo 2000, numero 62, le istituzioni scolastiche non statali, comprese quelle degli enti locali – se corrispondono agli ordinamenti generali dell’istruzione, se sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e posseggono i requisiti stabiliti dalla stessa legge – si definiscono scuole paritarie a tutti gli effetti di legge.

Sono poco più di un milione di alunni e studenti che, se frequentassero le scuole e gli istituti dello Stato, costerebbero all’erario cinque o sei miliardi di euro, in più di quelli che lo Stato già spende.

Fra questi circa settecentomila frequentano le scuole cattoliche paritarie, dalle materne ai vari licei: esse svolgono un servizio pubblico (legge numero 62/2000, articolo 1, comma terzo), sono scuole pubbliche a tutti gli effetti di legge, anche se la proprietà dei fabbricati in cui si svolge la loro funzione, il loro servizio, è di privati, di solito enti non commerciali, non solo religiosi; anzi.

Quando, con il decreto legislativo 30 dicembre 1992, numero 504 (governo Amato), fu istituita l’Ici (Imposta comunale sugli immobili) con l’articolo 7, lettera i), ne furono esentati i fabbricati appartenenti agli enti non commerciali, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive: non solo scuole, quindi, ma anche ospedali, residenze sanitarie protette per anziani, centro sociali, ostelli, eccetera. Ne erano esentati anche gli immobili posseduti dallo Stato e dagli altri enti pubblici: la norma aveva superato il vaglio della Unione europea.

Ora, se anche alle scuole non statali (ma altresì, come abbiamo visto, agli ospedali, alle residenze per anziani, e così via) si applicherà l’Imu (l’erede dell’Ici), da cui continueranno ad essere esentate le scuole statali e degli altri enti locali, si perpetuerà una duplice violenza: alla libertà di insegnamento e alla libertà di scelta educativa dei genitori e, più in generale, delle famiglie. La libertà di insegnamento comporta – come dice la Costituzione all’articolo 33 – anche la libertà di istituire scuole: ma se questo comporta aggravi di spesa (anche, come in questo caso, fiscale) sempre meno sopportabili, e se il mantenimento delle scuole si rivela sempre più proibitivo, la libertà di insegnamento si mostra sempre più una favola, un concetto lontano e inapplicabile, oppure un mero diritto individuale (e non delle formazioni sociali, in un contesto di pluralismo) da esercitarsi, ammesso che si possa, solo nelle scuole appartenenti allo Stato. D’altra parte la libertà di scelta educativa dei genitori, sancita dalla Costituzione all’articolo 30 e garantita anche sul piano economico all’art. 31, viene tradita e, quanto meno, ostacolata, se non resa vana, proprio aggravando le condizioni economiche della scelta, in barba alla Costituzione: non è libera la scelta educativa se, proprio in questi tempi, si deve esercitare fra una parte tendenzialmente gratuita (quella statale) e una parte che, invece, costa cifre sempre più alte, senza alcun contributo o sostegno da parte delle finanze pubbliche (per esempio, per ogni studente di scuola superiore di scuola statale il Ministero spende circa 8000 euro all’anno; dà per ogni studente di scuola superiore non statale un contributo di 51 euro: tutto il resto è a carico della famiglia).

È, naturalmente, un discorso che non vale solo per le scuole, come s’è detto: vale anche per tutte le opere di servizio, di solidarietà, di assistenza gestite da soggetti non statali (anche qui, contro i principi sulla libertà di assistenza e di scelta assistenziale e sanitaria sanciti dalla Costituzione, per esempio, all’articolo 38, nonché dalla legislazione risalente al 1978 sul servizio sanitario nazionale); ed è un settore che vale circa duecentomila posti di lavoro solo per quel che concerne gli enti di ispirazione cattolica, e che svolge un servizio che, oggi, le istituzioni appartenenti allo Stato e agli altri enti locali e soggetti pubblici non riuscirebbero certo ad assicurare.

Quella di far pagare l’Imu anche ai fabbricati di enti non commerciali che svolgono questi servizi è, dunque, una decisione gravemente antilibertaria, ingiusta, incostituzionale. E per di più con ogni probabilità sbagliata sul piano economico: gravate dai pesi che si accumulano, molte scuole già preannunciano la chiusura; riuscirà la scuola statale a sopportare l’afflusso di decine, se non centinaia di migliaia di alunni? e soprattutto: il previsto incasso di nuova Imu (che dovrebbe andare ai Comuni) compenserà il maggior costo (previsto in 5 o 6 miliardi di euro all’anno?).