Si affolla tanta gente intorno allo spazio Social Cohesion Day di «Fa’ la cosa giusta», la grande fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, giunta alla 20ma edizione. Attesissimo arriva il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei e arcivescovo di Bologna. Atteso non solo per la sua carismatica figura, ma per il tema che affronta, in dialogo con Miriam Giovanzana, direttrice editoriale di Terre di Mezzo, «Il perdono come strumento per costruire la storia». Si parte con la memoria dell’attacco alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 e «ciò che è successo dopo, l’annientamento del nemico da parte dell’America», con l’incredibile coincidenza dell’inizio dei bombardamenti in Afghanistan datato 7 ottobre 2001.
«Tutto questo non è servito a niente – dice Giovanzana -. Abbiamo bisogno di trovare altre strade e dobbiamo chiederci anche se poteva esserci spazio per il perdono». Ieri come oggi.
Perdono e giustizia
Da qui la riflessione del Cardinale che si articola intorno «a due problemi: la pace e il rapporto tra pace e perdono».
«Dobbiamo renderci conto che siamo vulnerabili. Purtroppo abbiamo creduto per troppo tempo che la pace non avesse bisogno di manutenzione della quale, invece, vi è una necessità enorme. Anzi, abbiamo fatto di peggio, delegittimando i manutentori, basti pensare agli strumenti internazionali che nessuno ha aiutato a cambiare, perché devono cambiare. Non solo non abbiamo fatto la manutenzione, ma abbiamo innescato tanti conflitti. Restiamo fedeli al motto: “se vuoi la pace prepara la pace” e non a quello più antico, pro pace para bellum».
Poi la questione, mai come ora aperta, del perdono: «Se lo pensiamo come un sentimento superficiale non andiamo da nessuna parte, occorre legarlo alla giustizia. Perdono e giustizia sono inscindibili per uscire dalla tragica catena dell’“occhio per occhio” perseguita fino a diventare ciechi, come infatti, siamo diventati non uscendo dalla logica vendicativa».
Quanto abbiamo investito?
Ancora sollecitato da Giovanzana, che cita il titolo del Messaggio per la Pace di Giovanni Paolo II dell’1 gennaio 2002 – «Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono» -, il Cardinale osserva: «Ritengo che il Papa avesse ragione, ma la sua sintesi non è né facile, né scontata. La pace si costruisce con la riconciliazione, come fece in Sudafrica la commissione voluta dall’arcivescovo Desmond Tutu, che così voleva ricostruire la convivenza. Se si perdona si può chiedere, con maggiore credibilità e ragioni, la giustizia».
Senza dimenticare le difficoltà che, talvolta anche tra i cristiani, incontra anche solo il parlare di perdono, come chiosa l’interlocutrice. «Il perdono molte volte è visto come tradimento, debolezza – spiega Zuppi -. Non trattiamo la pace che abbiamo ereditato come una tregua. Cambiamo le cose senza ammazzarci anche perché, dopo una guerra, si cambia solo con la logica del vincitore. A 80 anni del momento più buio della guerra, chiediamoci quanto abbiamo investito per gli strumenti di pace».
Donne per la pace
Prende la parola Antonella Mariani, giornalista di Avvenire e co-animatrice dell’iniziativa del quotidiano «Donne per la pace» (leggi qui), che dà voce a profili di donne che si battono contro ingiustizie e dittature: «La guerra ha un nome femminile, ma non ha un volto di donna – scandisce -. Il Papa diceva all’inizio del suo pontificato che il mondo ha bisogno dello sguardo femminile e da lì noi siamo partite. La guerra risponde a una declinazione fortissima delle logiche del patriarcato. Abbiamo scoperto che le donne sono escluse dai Tavoli dove si vincono o perdono le guerre, ma sono molto presenti dove si vince la pace, si fa mediazione e si ricuciono ferite». È stata lanciata, così, qualche tempo fa anche una petizione su www.avvenire.it per chiedere al Parlamento europeo che più donne partecipino ai Tavoli.
Esiste un altro modo
«Credo che la prima cosa sia trovare architetti della pace, ma anche dei geometri, degli artigiani – conclude il Cardinale -. Sentiamo la necessità di una grande visione, nella consapevolezza che, per esempio, il nucleare dovrebbe far venire la pelle d’oca. Secondo: un vero architetto della pace deve saper fare politica non di bottega. Una politica capace di guardare il mondo come fecero i padri fondatori dell’Europa. Per questo l’Europa deve ritrovare le proprie radici». Terzo elemento indicato da Zuppi, il quadro internazionale, «tessendo tanti fili in situazioni di guerra. Fili di democrazia, portando a quella manutenzione di un quadro internazionale che non creda che la guerra sia l’unica soluzione. È possibile che non ci sia un altro modo per vincere tutti? Bisogna andare oltre il calcolo dei torti subìti e inferti».
Il pensiero va anche al Papa, di cui lo stesso Cardinale è stato inviato per missioni di pace: «Papa Francesco, al contrario di quello che hanno pensato molti, non ha una soluzione pronta per la pace, ma chiede di cercarla con la missione per cui siamo andati a Washington o a Pechino. Oggi in Medio Oriente non si fa che incrementare l’odio, che è funzionale a chi vive di odio».