È definita “sindrome post Covid”. È l’insieme delle conseguenze disabilitanti che spesso permangono una volta passata la fase acuta della malattia, anche dopo la negativizzazione, cioè la guarigione dal virus: sintomi respiratori, cardiocircolatori, gastrointestinali e neurologici, accompagnati da senso di fatica, dolori muscolo-scheletrici, depressione, ansia… Se ne è discusso nel corso di un webinar promosso dalla Simfer (Società Italiana di medicina fisica e riabilitativa), a cui sono intervenuti alcuni medici del Centro “Spalenza-Don Gnocchi” di Rovato (Brescia).
«Ci sono sintomi che persistono anche quando il virus non c’è più – spiega Silvia Galeri, direttore del Dipartimento di Riabilitazione del Centro – e disfunzioni di organo che persistono nel tempo, anche dopo un iniziale recupero. È in particolare tutto l’apparato respiratorio che viene colpito, ma non solo. Restano da dimostrare gli esiti disabilitanti di carattere neurologico, mentre sono state riscontrate, anche in pazienti adulti, sindrome infiammatoria multisistemica (MIS) o sindrome di Kawasaki con congiuntivite, febbre, eruzioni cutanee».
È qui che entra in gioco la riabilitazione che, secondo le raccomandazioni dell’OMS, deve iniziare prima possibile, attraverso programmi individuali e personalizzati che tengano conto dei diversi setting, dal ricovero in struttura riabilitativa al domicilio, con l’utilizzo anche della teleriabilitazione e delle nuove tecnologie. Si tratta di un percorso che a Rovato ha visto coinvolto tutto il team del Centro, a partire dal prezioso apporto del dottor Luca Bianchi e dell’intero gruppo della riabilitazione respiratoria.
Un team multidisciplinare
Come modello emblematico di un percorso riabilitativo andato a buon fine, Serena Monteleone, medico fisiatra della struttura bresciana della Fondazione, ha ripercorso l’iter di un paziente ricoverato allo “Spalenza” dopo un ricovero di 40 giorni in terapia intensiva per aver contratto il Covid in forma severa: «Quando Giuseppe, pensionato di 69 anni, è arrivato da noi era supportato dal ventilatore per la respirazione, non parlava, aveva una tetraparesi flaccida con perdita della motilità e diminuzione del tono muscolare, si alimentava con sondino naso-gastrico e versava in stato di prostrazione psicologica e ansia».
Nel reparto di riabilitazione specialistica, nonostante il quadro clinico ancora abbastanza severo, soprattutto per l’apparato respiratorio e motorio, il paziente è stato progressivamente accompagnato verso l’uscita da quel tunnel nel quale il virus l’aveva catapultato in così poco tempo. «Il percorso riabilitativo – aggiunge Monteleone – è stato complesso perché ha coinvolto più fronti e un team multidisciplinare che si è coordinato su diversi obiettivi: far tornare gradualmente il paziente alla respirazione spontanea, svezzandolo da ogni forma di supporto meccanico o dall’ossigeno; rieducarlo al movimento, a partire dalla stazione eretta al cammino; alimentarlo senza più il sondino naso gastrico, rieducarlo alla deglutizione e alla fonazione corretta e consentirgli di superare lo stato di ansia e prostrazione psicologica nel quale si trovava ancora».
Un articolato programma di esercizi prima in camera poi in palestra, concluso con l’intervento del terapista occupazionale per la preparazione al ritorno a casa e alle normali azioni della vita quotidiana. In tutto questo, non secondario è stato il supporto psicologico, con il coinvolgimento dei familiari, in particolare della moglie, in costante contatto con il team riabilitativo e con il marito tramite videochiamate.
Fino alle dimissioni, dopo un faticoso cammino durato quasi sei mesi: «Al momento delle dimissioni – conclude la fisiatra – il paziente era tornato alla respirazione spontanea, aveva recuperato un livello soddisfacente di motricità e anche il quadro cognitivo era rientrato nella norma». La riabilitazione è poi proseguita a livello ambulatoriale per un altro mese e mezzo circa. Al Centro “Spalenza” ora aspettano Giuseppe per i necessari controlli periodici.