Il 71% dei giovani lombardi, dopo essere uscito da casa per studio o lavoro, torna a vivere con i genitori. Un dato superiore alla media nazionale (63%). Le persistenti difficoltà del presente e l’incertezza del futuro rischiano di frenare i progetti delle nuove generazioni. E la famiglia continua a rappresentare l’unica vera certezza, per 7 giovani su 10 un vero e proprio ammortizzatore sociale. Il 26, 2% dei lombardi intervistati è molto d’accordo sul fatto che la famiglia sia un rifugio dal mondo (in linea col dato nazionale pari al 26.5%), mentre il 34, 8% si dice abbastanza d’accordo. Sono i dati che emergono dal “Rapporto Giovani”, la ricerca che l’Istituto Giuseppe Toniolo ha avviato sui giovani italiani fra i 18 e i 29 anni in collaborazione con la Fondazione Cariplo.
«Le nuove generazioni italiane trovano, insomma, più difficoltà, sia rispetto al passato, sia relativamente ai coetanei degli altri Paesi, nel conquistare una propria autonomia dalla famiglia di origine e nel realizzare le condizioni per formarne una propria – afferma Alessandro Rosina, tra i coordinatori del “Rapporto” -. Le difficoltà di stabilizzazione occupazionale e di adeguata remunerazione producono anche una grave perdita di fiducia da parte dei giovani, in primis verso la società che non offre loro spazio e non li valorizza, ma poi anche verso se stessi e le proprie capacità. Con l’esito di incentivare la strategia di uscita verso l’estero o di rivedere al ribasso le proprie aspettative, dando di meno rispetto a quanto potrebbero e lasciando in larga parte sepolti i loro talenti».
A conferma di questo, un altro dato che emerge dalla ricerca è che il 47,7% dei giovani lombardi (42% il dato nazionale) si dichiara pronto ad andare all’estero per migliorare le proprie opportunità di lavoro. Solo il 27.62% non è disposto a trasferirsi.
Adattarsi, ma senza rassegnarsi
I dati dell’indagine mostrano come finora la crisi non abbia intaccato l’atteggiamento positivo dei Millennials (quanti hanno compiuto i 18 anni dal 2000 in poi) rispetto al lavoro, ma li abbia portati a un approccio più consapevole e pragmatico rispetto alle scelte del presente, in termini sia di formazione, sia di occupazione.
Il 93% dei giovani lombardi considera il lavoro un luogo di impegno personale e un mezzo per auto realizzarsi (88.8%), piuttosto che una fonte di fatica e stress (55.9%). Rispetto alle generazioni precedenti, la carriera, più che procurare prestigio sociale, è intesa come miglioramento della possibilità di autorealizzazione e richiede impegno personale. Ma molto sentito è anche l’aspetto del reddito: il forte rischio percepito è quello di un lavoro che possa anche piacere, ma che non consenta di conquistare una propria indipendenza economica e di progettare quindi il proprio futuro.
È però interessante notare come chi ha realizzato una propria idea imprenditoriale o ha comunque una propria attività autonoma, tenda maggiormente a vedere il lavoro come possibilità di successo e autorealizzazione. Chi invece ha un lavoro a tempo indeterminato, più facilmente lo percepisce come luogo di fatica e stress e come mera fonte di reddito. Questo suggerisce come, in situazione di carenza di opportunità occupazionali, difficilmente non si accetti o si abbandoni un contratto a tempo indeterminato anche quando non pienamente soddisfacente con le proprie aspirazioni di realizzazione individuale.
Questo spirito di adattamento trova conferma anche passando dagli atteggiamenti generali alla valutazione qualitativa specifica dell’attuale impiego. Tra chi ha un lavoro, solo il 19.8% si dichiara pienamente soddisfatto, mentre il 18.1% lo è poco o per nulla, contro il 24% del dato nazionale.
La ricerca evidenzia ancora che, se si chiede in generale quanto si è soddisfatti della propria situazione finanziaria, i giovani lombardi sono più soddisfatti rispetto al dato nazionale: in Italia i non soddisfatti sono pari al 50,8%, in Lombardia al 44.0%, valore che rimane pressoché identico anche per i laureati (51% a livello nazionale contro il 41.3% lombardo).
Riguardo alle varie dimensioni della soddisfazione dell’attuale attività lavorativa, più di due su 5 si adegua a un salario sensibilmente più basso rispetto a quello che considera adeguato. Una quota molto alta, quasi pari al 46% (dato analogo a quello nazionale) si adatta a svolgere una attività che non è pienamente coerente con il suo percorso di studi.