Il 6 febbraio 1944, dopo sette giorni – tanto durava il viaggio da Milano ad Auschwitz – Liliana Segre arrivava nel capo di sterminio in terra polacca: «Avevo 13 anni, oggi ne ho 91, ma ricordo ogni singolo momento di quella giornata: costretti a scendere a bastonate dai vagoni, a prendere ordini in una lingua a noi sconosciuta, ci chiedevano dove fossimo capitati. Lasciai la mano di mio padre e non lo rividi mai più».
Il 6 febbraio 2022 queste parole, pronunciate presso il Memoriale della Shoah dalla senatrice a vita (peraltro sotto scorta per le minacce), scendono in un silenzio carico di emozione, mentre, come un richiamo a ciò che è stato, i treni che partono e arrivano nella soprastante Stazione Centrale sono un monito a non dimenticare.
La celebrazione della memoria
È la “Memoria della deportazione dalla Stazione di Milano” che, da 25 anni, la Comunità di Sant’Egidio, la Comunità Ebraica di Milano e la Fondazione del Memoriale celebrano nel giorno esatto della razzia, il 30 gennaio, ma che quest’anno – per permettere a Segre di partecipare all’elezione del Presidente della Repubblica – è stata posticipata di una settimana, in una data rivelatasi quasi più profetica.
Presenti molte autorità, tra cui la vicesindaco Anna Scavuzzo (vedi qui l’intervista che ha rilasciato), il prefetto Renato Saccone, esponenti della Comunità ebraica, don Giuliano Savina (direttore dell’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso della Cei), don Walter Magni in rappresentanza dell’Arcivescovo, il presidente del Municipio 2 Simone Locatelli, Roberto Cenati, presidente dell’Anpi Milano e Provincia. Oltre 50 i ragazzi collegati dall’Auditorium interno al Memoriale e tanta la gente che segue l’evento in diretta streaming. Tra parole e musica si avvia la serata che vede anche le note del musicista Jovica Jovic, a ricordo dello sterminio di Rom e Sinti, e l’esecuzione di canti da parte di un gruppo del liceo Carducci. Il dialogo tra i relatori è introdotto da Giorgio Del Zanna della Comunità di Sant’Egidio.
Le nuove maschere dell’antisemitismo
«Il Memoriale dal 1998 è un centro di formazione delle coscienze giovanili. Aspettiamo con ansia che si sblocchino le visite delle scuole – anche se il numero dei visitatori è in costante crescita -, perché questo è il nostro compito e il contributo che possiamo dare per una società migliore», dice in apertura Roberto Jarach, presidente della Fondazione Memoriale, annunciando che, con il completamento della biblioteca il 22 febbraio, si concluderanno i lavori e verrà così ultimato il progetto del complesso.
Da parte sua rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano e presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, riflette: «Ognuno di noi fa del proprio meglio per capire e insegnare: non abbiamo formule magiche però credo che si debba dire che il nazismo e la mentalità antiebraica non nascono dal nulla e hanno trovato terreno fertile in molti Paesi d’Europa. Per alcuni il nazismo è un’ideologia atea e antireligiosa, ma vi è un antisemitismo dove le religioni hanno una parte non piccola. Questo è uno degli elementi su cui bisogna invitare a pensare. Uno storico si chiede quali siano le motivazioni economiche o sociali di un evento, ma esiste anche una domanda metastorica che è perché l’antisemitismo continui a tornare con nuove maschere. Si dice spesso che la novità del nazismo fu di introdurre l’elemento razziale nella questione, ma se si studiano le persecuzioni nel 1400-1500 in Spagna vediamo che c’è comunque un riferimento, ad esempio, alla limpidezza del sangue».
Il dovere della scuola
Collegato da remoto, interviene il ministro Patrizio Bianchi che ha appena diffuso a tutte le scuole la circolare con le «Linee guida sul contrasto all’antisemitismo nella scuola» e che, a tale proposito, sottolinea: «Il passato può tornare sotto la specie del ricordo personale o della memoria che è azione di collettività e di per sé un contenuto educativo. Avere attenzione alle parole, a ciò che si dice e si ascolta, e fare memoria collettiva sono doveri della scuola che non parla solo si ragazzi, ma anche agli adulti, a tutti coloro che hanno l’obbligo morale di accompagnare i giovani a eliminare qualsiasi forma di odio, divenendo operatori di pace. Il 27 gennaio abbiamo promosso un percorso attraverso i campi di concentramento italiani, per dire che quella storia, quella tragedia non è di altri, ma è anche nostra, perché anche in Italia ci furono la banalità del male e l’indifferenza, come oggi: per questo spero – e credo che non sarà in un tempo troppo lontano – che le scuole possano tornare al Memoriale».
Esempio concreto dell’impegno dei giovani, parla la rappresentante di “Giovani per la pace” della Comunità di Sant’Egidio: «Vogliamo accorciare le distanze con i poveri e le generazioni. Tante, troppe ingiustizie, certamente diverse, ancora esistono, realtà di cui siamo stati testimoni, come il cmapo per profughi di Lesbo».
L’indifferenza e la testimonianza
Monica Maggioni, direttrice del Tg1, si sofferma sul luogo fisico in cui è sorto il Memoriale, al binario 21 nel sottosuolo della Centrale, da cui gli ebrei partirono con «destinazione ignota». «Perché per decenni si è persa la memoria di un luogo come questo? Perché 320.000 passeggeri al giorno per un totale di 120 milioni l’anno – compresa me -, non hanno saputo per molto tempo? Forse perché non si vuole andare la fondo delle cose. La parola che è incisa all’inizio del Memoriale – indifferenza – indica qualcosa che anche adesso sopravvive. Là sopra occorre sapere cosa c’è qui sotto, perché ci riguarda», scandisce proprio mentre, sopra le teste di chi partecipa alla commemorazione, passa rumorosamente un treno.
Concorde Milena Santerini, coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo (voluta dal governo Conte e confermata in questo ruolo da Draghi). “Anima” del Memoriale, Santerini, che è anche docente di Pedagogia in Cattolica, spiega: «Quando abbiamo iniziato a riunirci qui eravamo pochi, al buio, al freddo, non esisteva la Giornata della memoria che in Italia fu istituita nel 2000, ma c’erano il cardinale Martini e il rabbino Laras, Goti Bauer e Nedo Fiano, deportati e sopravvissuti. Negli anni Novanta i testimoni sentirono il dovere di raccontare di fronte ai negazionisti e ai rigurgiti di antisemitismo. Oggi esiste un’altra forma di negazione che è la banalizzazione. Abbiamo una confusione ignobile tra leggi che tutelano la salute dei cittadini (il riferimento è ai vaccini) e procedimenti che discriminavano e uccidevano; si scherza sui forni, su Anna Frank. Sentiamo tutti la paura che la voce dei testimoni si indebolisca, ma luoghi come questo, dove noi abbiamo coltivato la memoria, permette di affidarla alle nuove generazioni. Che il Memoriale sia nato da un’alleanza tra la comunità cristiane ed ebraica è già un segno».
Le ragioni della speranza
A conclusione, è la senatrice che ricorda: «Da ragazzina andavo in bicicletta nella zona di via San Vittore, poi quando vidi le stesse strade dall’interno del carcere mi sembrò incredibile. Così come sembrava incredibile partire per ignota destinazione, nell’indifferenza più totale. Entrammo qui, una massa di 600 persone spinti come animali, c’erano i nazisti, ma anche i fascisti, magari vicini di casa. Mai pensavamo che saremmo partiti da quella amata stazione da dove partivamo, in passato, per la villeggiatura. Il treno si mosse e andava a nord: facevo parte di quel coro di piangenti che si disperava, forse per questo ora non piango quasi mai. Il convoglio si fermò, prima alla vera stazione di Auschwitz; poi, tra lo sconcerto generale, ripartì per una stazione preparata apposta per far scendere i deportati. C’erano treni vuoti e binari morti e treni pieni aperti con violenza, in una situazione surreale per cui nessuno voleva credere alla quella visione. Siamo tornati, di 605 che eravamo, in 22. La prima sera avevo già subito il tatuaggio sul braccio, mi avevano portato via i vestiti, dormii nei letti a castello e da una finestrina piccolissima vidi nevicare».
«Io che ho sentito l’orrore della carne bruciata, le urla, che dopo aver sopportato ed essere tornata a godere della felicità dell’amore, di diventare mamma e nonna, cosa devo concludere se da due anni e mezzo ho una scorta e se una persona da Tolmezzo (Ud) mi ha scritto parole ingiuriose, solo perché mi ero vaccinata, augurandomi che, siccome Hitler non era riuscito a uccidermi, lo faccia il Covid? Potrei pensare che non c’è speranza, invece c’è e sono questi ragazzi».