Riceviamo dall’Osservatorio carcere e territorio di Milano, di cui Caritas Ambrosiana è parte, un comunicato stampa – stilato nella giornata di ieri – relativo al fenomeno dei suicidi in carcere, definito «una della grandi malattie del sistema carcerario italiano». L’occasione per il comunicato, condiviso da Caritas Ambrosiana, è fornita dal secondo episodio accaduto, in pochi giorni, nel carcere milanese di San Vittore.
Due giovani detenuti presso il settimo reparto della Casa Circondariale “Francesco De Cataldo” – San Vittore – di Milano hanno deciso di togliersi la vita a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro.
Abou El Maati, un giovane di 24 anni, cittadino italiano di famiglia egiziana, si è ucciso nella notte di giovedì 26 maggio.
Giacomo Trimarco aveva solo 21 anni. Ha deciso di farla finita ieri. Era in attesa di trasferimento in luogo di cura da mesi e destinatario di misura di sicurezza in Rems (una struttura sanitaria per l’esecuzione delle misure
di sicurezza dedicata alle persone affette da disturbi mentali). Aveva già tentato due volte il suicidio nelle settimane precedenti.
Il fenomeno dei suicidi in carcere è una delle grandi malattie del sistema carcerario italiano. Dall’inizio del 2022 si sono tolte la vita in carcere già quasi 30 persone. I suicidi in cella sono stati almeno 54 nel corso del 2021, più di 60 nel 2020. Si tratta solo dei suicidi accertati: per molte morti in carcere la causa è difficile da attribuire con precisione.
Sono numeri inaccettabili. Come è inaccettabile ciascun suicidio che avvenga quando la persona deve essere “custodita” in una struttura detentiva dello Stato.
Ci chiediamo cosa stia succedendo a San Vittore con due giovanissimi che si sono tolti la vita in meno di una settimana. La presenza di persone con forme di sofferenza mentale, spesso con doppia diagnosi, nell’Istituto milanese ha raggiunto livelli molto preoccupanti e la condizione detentiva non fa che acuire il problema. Le Rems hanno lunghe liste di attesa e l’intervento psichiatrico in carcere è totalmente insufficiente. I servizi territoriali per la salute mentale non riescono a garantire un intervento adeguato e la continuità terapeutica.
Resta la positiva esperienza dei centri diurni attivi all’interno degli istituti penitenziari milanesi, ma senza una forte ed effettiva collaborazione con i servizi pubblici per la salute mentale e senza un potenziamento degli interventi della sanità all’interno degli istituti, con una maggiore e adeguata presenza di psicologi e psichiatri, non sarà possibile evitare tragedie come queste.
Il nostro pensiero e il nostro abbraccio vanno alle famiglie di questi due ragazzi, che oggi piangono morti difficili da comprendere e accettare.
Osservatorio carcere e territorio di Milano