Per il ceto medio la stabilità è solo apparente in Lombardia. Dal triennio della pandemia (2020-2023) emerge infatti una situazione dove sempre più persone sono esposte alle vulnerabilità.
Questo scenario è stato tratteggiato dal primo report di OVeR, l’Osservatorio Vulnerabilità e Resilienza. Si tratta di una realtà del terzo settore e della società civile, nata dall’alleanza tra le Acli Lombardia Aps, e gli enti di ricerca dell’Istituto per la Ricerca Sociale.
Il profilo del “ceto medio”
L’identikit dei contribuenti dei CAf e degli Acli lombardi è composto per il 93% da persone nate in Italia, nel 52% dei casi uomini e nel restante 48% donne. Quasi otto su dieci hanno più di 45 anni, mentre gli under 30 costituiscono solo il 4% dei contribuenti analizzati. La distribuzione per età è direttamente correlata al profilo lavorativo: per il 51% lavoratori dipendenti e per circa il 46% pensionati.
Di questi, il cosiddetto ceto medio individuato dal Report dichiara un reddito medio di circa 26mila euro annui. Numeri in linea con i dati del ministero dell’Economia e Finanza relativi alla totalità dei contribuenti lombardi, che si aggira intorno ai 25 mila sia per il 2020 che per il 2021.
Le disuguaglianze in crescita
La prima parte del rapporto si concentra sulla condizione economica dei lombardi: se a un primo sguardo la crisi sanitaria non sembra aver provocato particolari impatti, con un’indagine più approfondita la stabilità si rivela solo apparente, soprattutto a livello aggregato. Dal rapporto emergono infatti differenze nella distribuzione dei redditi, che di conseguenza aumentano la forbice nella capacità di spesa dei contribuenti. L’effetto di queste disuguaglianze si osserva ad esempio nelle spese sul reddito e a cascata nell’utilizzo di servizi, come quelli sanitari, assistenziali o educativi.
Proprio la sanità resta la prima voce dei contribuenti lombardi: secondo il rapporto, in questo capitolo la spesa più ricorrente è per i farmaci da banco, seguita dalle spese per prestazioni specialistiche e per quelle erogate in regime di servizio sanitario nazionale. Al crescere del reddito aumenta inoltre la frequenza con cui queste voci di spesa sono dichiarate. Queste disparità si manifestano con ancora più chiarezza se comparate con il budget farmacologico degli italiani: una persona indigente ha a disposizione solo 9,9 euro al mese per la propria salute, rispetto ai 66,83 euro medi. Un peso che con il caro vita costringe sempre più famiglie non povere a soppesare ogni spesa preventivamente.
Nette in Lombardia le disuguaglianze di genere: le donne hanno redditi significativamente più bassi dei contribuenti di sesso maschile, con 17 mila euro nel 2021 contro i 21 mila degli uomini.
La questione caregiver
Un fianco che risulta ancora più scoperto nel settore dei caregiver: Con il progressivo invecchiamento della popolazione in Italia, oggi questa figura è sempre più comune nelle reti familiari. Nella grande maggioranza dei casi (75%) l’attività di cura è svolta dai figli dell’anziano.
Più circoscritta invece i casi che riguardano i coniugi o i partner, che sono l’11%. Per quanto riguarda la condizione lavorativa del caregiver, il 56% del campione è occupato (con tre lavoratori su quattro su un impiego a tempo pieno), mentre il 31% è in pensione.
Da ricordare infine come il tempo speso nell’assistenza sia però spesso tolto da quelli lavorativi, e di conseguenza si sia rilevata una maggiore richiesta di servizi e supporti invece di semplici contributi economici. Il caregiver infatti si sente poco o per nulla sostenuto nel lavoro di cura, anche quando è condiviso con altri familiari. La badante è presente in quattro casi su dieci, nel 17% dei casi in una forma di convivenza tra assistente e assistito, una soluzione comunque più residuale rispetto ai numeri del passato.