«Nel suo intervento l’Arcivescovo mi è parso deciso e coraggioso anche nella componente che possiamo definire di segnalazione dei temi cruciali per l’agenda politica, non solo locale. Quindi, nell’indicare quali siano le questioni su cui tutti dobbiamo prestare attenzione». Gabriele Rabaiotti, docente universitario, consigliere comunale e capogruppo della lista civica “Beppe Sala Sindaco”, non ha dubbi ripensando al discorso tenuto da monsignor Delpini nell’aula consiliare, che definisce più volte non solo coraggioso, ma deciso.
Qual è il passaggio che più l’ha colpita?
Sono stati due: il primo relativo al tema della demografia, oggi questione centrale per questa città e per il nostro Paese, con l’invecchiamento rapido della popolazione e la natalità ormai bassissima, con tutto quel che ne consegue anche per la sostenibilità della comunità. Il secondo aspetto è legato al pericolo forte rappresentato da capitali che arrivano a Milano da percorsi non tutti, noti né corretti: un arrivo massiccio che bisognerebbe monitorare, essendo allarmati, mentre oggi si tende a enfatizzare – anche attraverso i mezzi di comunicazione – solo la cosiddetta invasione e la presenza di persone definite a torto o ragione immigrati. Riuscire a leggere dentro il contesto in cui viviamo, con determinazione e un certo coraggio nella lettura della situazione odierna, mi sembra che dal punto di vista delle indicazioni alla politica sia un passaggio decisivo.
Insomma occorre, come dice l’Arcivescovo, essere sentinelle, custodi, artigiani della manutenzione e seminatori di futuro…
Mi ha colpito il riferimento alle prime tre figure: la sentinella, il custode e il manutentore che hanno molto a che fare, anzi, direi che hanno come elemento fondante il tema di che cosa ci interessa curare. Non c’è una buona sentinella, un buon custode, se non nel momento in cui si mette a fuoco l’elemento centrale della cura e dell’attenzione. A mio parere le due indicazioni si legano: c’è un’attenzione al mestiere, a come dobbiamo farlo, ma anche a cosa dobbiamo fare: di cosa ci preoccupiamo, a cosa tendiamo, cosa vogliamo. Questo tema, che ritengo sia stato evocato tra le righe, è interessante perché si rapporta alla componente “artigianale” dell’attenzione che, diversamente dalla dimensione industriale che produce programmazione ed esegue un mandato, tiene viva la domanda sul perché si fa qualcosa e per chi.
Nel suo intervento a Palazzo Marino, lei ha fornito indicazioni inerenti a problematiche operative. Qual è la più urgente?
Se dovessi riferirmi al sistema bancario, rispettando i suoi vincoli d’azione, suggerirei di non prestare troppa attenzione, negli investimenti, al tema dell’acquisto della casa. Cerchiamo, invece, strumenti nella forma dei certificati di deposito, del microcredito o del prestito d’onore, per aiutare i cittadini e le famiglie nella delicata fase d’inserimento nel mercato abitativo. Si può pensare a sistemi e forme che sostengano la locazione. Anche qui, dovremmo chiederci che cosa ci interessa e che cosa serve alla società di oggi. Non serve più l’accesso alla proprietà, come serviva un tempo; oggi, nella mobilità esplosa, serve offrire strumenti per la locazione. Se dovessi, invece, dire quello che vorrei vedere in città, mi piacerebbe un’azione dimostrativa, un progetto che leghi, in quell’alleanza che l’Arcivescovo evidenziava, tre attori: la parte pubblica, quella del privato sociale – cioè enti e istituti che hanno a cuore il bene della società – e la parte privata pura, per me decisiva nelle città come Milano. Insomma, sarebbe bella un’azione dimostrativa. Infatti, se il Novecento ci ha consegnato grandi strutture di accoglienza, come Casa della Carità o Casa Jannacci in viale Ortles, forse è il caso di pensare, adesso, a un nuovo luogo o a nuovi luoghi che raccontino come si fa ad accogliere le comunità che premono alle porte della città; un modello nuovo di accoglienza, una forma differente di impostare, nello spazio della metropoli, un inedito tipo di risposta. Sarebbe bellissimo che venisse realizzato un nuovo, grande luogo, non grande di dimensioni, ma per la prospettiva che apre sui temi dell’ospitalità e dell’accoglienza. Questo mi sembra un lascito che la città, nelle alleanze di cui si è parlato nell’Aula consiliare, possa permettersi.