«Quei cattivi ragazzi» è il titolo del podcast presentato lunedì 17 giugno nei locali dell’associazione Kayros di Vimodrone (Milano). Prodotto da Chora Media e scritto da Gabriella Simoni, giornalista inviata di guerra da 30 anni per il Tg5, è il racconto dell’altra faccia dei tanti ragazzi che ai notiziari occupano gli spazi della cronaca. Giovani descritti come criminali o violenti, di cui però si omette un trascorso difficile. Nel loro passato non si pone spesso l’attenzione su storie cariche di episodi di abbandono o maltrattamenti, che li obbligano a crescere più velocemente del dovuto, senza alcuna guida o modello di riferimento.
Un microcosmo sconosciuto
È compito di Simoni e Mario Calabresi, ceo di Chora Media, spiegare il perché si è scelto di raccontare queste vicende nel formato del podcast. Un modello che consente di spiegare a fondo e con la dovuta attenzione cosa si nasconde dietro tutte le storie. «L’audio permette di approfondire ed emozionarsi – spiega Simoni, che da diversi anni frequenta in prima persona l’associazione Kayros -. Perché queste storie raccontano un microcosmo di tutto quello di cui abbiamo paura. E come sia necessario dare una possibilità in più a chi non l’ha avuta o non l’ha saputa cogliere. Come giornalista osservo un mondo che vive di velocità e apparenza, che lascia scorrere ogni cosa con il volume abbassato fino a che qualcosa non cattura la nostra attenzione. La televisione può diventare anche guardare, stigmatizzare e chiudere porte. Ascolto questi ragazzi da anni e, quando smetti di avere timore, capisci che sono loro ad avere più paura di noi. Fin dalla prima volta che ho attraversato questa soglia, ho capito come non facciano parte di un mondo sbagliato. È giusto dare a questi ragazzi anche una quinta possibilità».
Un percorso che conosce bene don Claudio Burgio, cappellano dell’istituto minorile di Milano. Del Beccaria si è parlato spesso nelle ultime settimane, a seguito di alcune vicende giudiziarie ancora sotto indagine dalla procura. «In questa sala – racconta don Burgio – ci sono alcuni ragazzi che al Beccaria le hanno prese. Quando il carcere si trasforma in luogo totalitario, questo fa un po’ rabbrividire. L’idea dei cancelli aperti è un modo per spiegare loro come questo non sia un penitenziario. Qui in molti sono scappati da tantissime comunità. È una scelta che un ragazzo deve saper cogliere, e magari non si rende subito conto delle opportunità che ha, perché si giocano una fetta della loro vita. Dopotutto Kayros significa tempo opportuno, qui cerchiamo di esaltare il talento di ogni ragazzo. In questi 24 anni, potrei raccontare la storia di tantissimi che si sono trasformati grazie a questo cammino».
Dai racconti di Simoni, si capisce come non sempre sia un luogo semplice. Se in alcuni giorni può sembrare un liceo, in altri non passano senza difficoltà. Qui un microonde può scaldare le vivande, oppure essere usato per tirarlo in testa a qualcuno. Le testimonianze raccolte dalla giornalista tra gli educatori aiutano però a rendersi conto come ognuno di questi ragazzi sia carico di un passato e di una profondità che spesso non si ha il tempo di ascoltare.
Modelli positivi
Un metodo per aiutare questi ragazzi sono i modelli positivi. «Vedere uno che ce l’ha fatta può aiutarli a capire che puoi farlo anche tu», spiega Simoni, commentando anche il lavoro realizzato dall’etichetta discografica Sugar Music, che a Kayros ha contribuito alla costruzione di uno studio di registrazione a disposizione per i ragazzi. «È stato un gesto spontaneo – ha raccontato Elisabetta Biganzonli, del gruppo Sugar -: mentre lo costruivamo abbiamo capito che offre a questi ragazzi anche un momento di confronto per il mondo del lavoro. La nostra speranza è che li aiuti a sviluppare ogni loro talento, che sia il rap, la poesia o la produzione. Tutti modi per costruirsi una professionalità».
Un’affinità di cui è convinto anche don Burgio. «Ci crediamo a tal punto perché è un avamposto che ci aiuta a concepire cos’è oggi la giustizia. Le narrazioni, sempre stigmatizzate, etichettano le persone. Questo è un luogo di cura che ispira una cultura diversa, che suscita dibattito, perché una canzone sappia discutere di questi problemi. Anche la musica ha la capacità di toccare alcuni punti, che raccontano la disuguaglianza allucinante che viviamo in questo Paese. Queste storie devono far cultura e arrivare lontano, soprattutto dalle voci dei nostri ragazzi».
Il valore della giustizia riparativa
«Quei cattivi ragazzi», disponibile su Spotify e Apple Podcast, affronta anche il tema della giustizia riparativa. Uno degli episodi racconta infatti il percorso cominciato da un ragazzo con la moglie di un carabiniere, deceduto durante un controllo. Una vicenda che secondo Gemma Calabresi, moglie del commissario Luigi Calabresi, è in grado di aiutare tutte le parti in causa. «La giustizia riparativa è fondamentale anche per guardarsi dentro e dirsi se ha perdonato. Va immaginata come un ponte, attraversato da chi ha voglia di rimettersi in gioco, e dall’altro versante dalla vittima, che invece si incammina sul percorso del perdono, per andare incontro. Non ci si può che volersi bene. Non abbiamo nessun diritto di inaridire una persona».